Fabio Dal Cin: sono cresciuto «a pane e sant’Antonio»

In dialogo con monsignor Fabio Dal Cin, nuovo delegato pontificio per la Basilica del Santo, dove farà il suo ingresso domenica 22 ottobre.
20 Ottobre 2017 | di

Si aggira sorridente per i corridoi del convento del Santo e a chiunque incontri riserva un saluto particolare, presentandosi semplicemente con un: «Piacere, sono don Fabio». Se non fosse per quella croce appesa al collo, lo scambieresti proprio per un giovane chierico. E invece don Fabio altri non è che monsignor Fabio Dal Cin, nuovo delegato pontificio per la Basilica del Santo, nella quale farà il suo ingresso domenica prossima, 22 ottobre, nel corso della Messa delle ore 11.00. Dal Cin è stato nominato da papa Francesco (che lo ha anche nominato arcivescovo-prelato di Loreto e delegato pontificio per il Santuario Lauretano, dove risiederà stabilmente) lo scorso 20 maggio e il 9 luglio ha ricevuto la consacrazione episcopale, nella cattedrale di Vittorio Veneto (TV), sua diocesi di provenienza.

Msa. Eccellenza, il 20 maggio scorso lei è stato nominato da papa Francesco delegato pontificio per la Basilica di Sant’Antonio in Padova. Qual è stato il suo primo pensiero?Dal Cin. Ho pensato a sant’Antonio. Mi è venuta subito alla mente l’immagine del Santo che è venerata nella chiesa del mio paese, Sarmede, che è l’unica parrocchia della diocesi di Vittorio Veneto a essere titolata proprio a sant’Antonio di Padova. In quella chiesa si può dire che io sia cresciuto «a pane e sant’Antonio», sia perché in famiglia vi era un particolare legame con la sua figura, sia per la devozione che si respirava in parrocchia, una devozione proposta, accompagnata e animata dal parroco soprattutto attraverso la preghiera della Tredicina e la particolare cura con cui si celebrava il 13 giugno, festa di sant’Antonio. Subito dopo, quel 20 maggio, il pensiero è andato a questo luogo, a questa Basilica patavina dove mi ricordo venni in pellegrinaggio da bambino con i miei genitori e dove mi recavo spesso, durante i miei studi a Padova all’istituto di liturgia di Santa Giustina, negli intervalli delle ore scolastiche. E poi, sinceramente, ho pensato che grazie a sant’Antonio potevo continuare... a tenere un piede in Veneto. Sia chiaro: sono contentissimo di andare nelle Marche, ma anche molto contento di mantenere un legame con la «mia» terra veneta.

Che cosa ricorda di quella sua prima visita? Ho delle immagini vivissime, che sono rimaste impresse in modo netto nei miei ricordi di bambino. Rammento, per esempio, che, visitando la tomba del Santo, rimasi colpito nel vedere i «grandi» che posavano la mano sul marmo dell’Arca, passando in preghiera. E poi mi ricordo che ci recammo nella cappella delle benedizioni, per far benedire un oggettino che avevamo acquistato, e lì incontrammo un frate che si fermò a lungo a chiacchierare amabilmente con noi. Quel dialogo restò per anni nella memoria, non solo mia ma di tutta la famiglia che, quando ripercorreva quella visita, sempre nominava quel frate che aveva comunicato a tutti noi un senso di «pace e bene», proprio come recita il saluto francescano.

Chi è per lei sant’Antonio? Un Santo che ha lasciato spazio nella propria vita alla fantasia di Dio. Nella sua biografia, infatti, vediamo come ogni volta che egli aveva un progetto sul proprio futuro, si trovava a dover cambiare idea, perché il Signore voleva da lui un’altra cosa. Per esempio: aveva deciso di andare in Africa e il Signore lo gettò sulle coste della Sicilia; voleva vivere nel nascondimento e il Signore lo chiamò a predicare alle folle… È un po’ quello che è capitato a me. Pensavo di andare da una parte e mi sono ritrovato da tutt’altra. Questo agire così palese del Signore nella vita di Antonio mi ha sempre affascinato.

Papa Francesco ha in generale una visione positiva della religiosità popolare. Che servizio può rendere la Basilica in tal senso?La religiosità popolare dà voce a quel «senso del sacro» che è innato nel cuore di ogni essere umano. Recarsi in visita a un santuario, come può essere questo del Santo, significa proprio risvegliare il desiderio di Dio. Sant’Antonio, quindi, riconduce a Dio. Qui, in questa Basilica, la gente viene per incontrare il Signore, magari partendo da situazioni e storie molto differenti le une dalle altre, ma che comunque si lasciano interrogare dal desiderio di un «incontro». Poi, può capitare che, dopo questo primo avvicinamento, le persone vadano accompagnate e magari aiutate a crescere nella fede. Però, senza religiosità popolare, tutto questo non sarebbe possibile. Non avrebbe senso nemmeno parlare di liturgia, di sacramenti. La fede dei piccoli è fondamentale per la pastorale della Chiesa.

E nell’ambito della Nuova evangelizzazione, quali percorsi può offrire il Santuario? Credo che in questa Basilica ci siano percorsi molto interessanti, che meriterebbero di essere ancor più valorizzati e conosciuti. Un esempio? La disponibilità ad accompagnare le persone sia nel sacramento della penitenza, ma anche, successivamente, nel dialogo che favorisce un discernimento. Al Santo, come dicevo, giungono molte persone che hanno storie problematiche, difficili, delle quali non sempre riescono a parlare con libertà nel loro ambiente quotidiano di vita. In un luogo come questo, invece, possono esprimersi, chiedere un consiglio che sa farsi strumento di comprensione della volontà di Dio per la loro vita. Penso, sempre per fare un esempio concreto, ai giovani. A loro la Basilica offre innumerevoli occasioni di ascolto e di dialogo. Mi piace ricordarne due in particolare: la «Notte dei miracoli», quando il Santuario antoniano resta aperto tutta una notte (e i giovani, ricordiamocelo, amano la notte!) per dare la possibilità ai ragazzi di pregare nel silenzio davanti al Santissimo Sacramento, per dialogare con un frate, per confessarsi… La notte che diviene occasione per rimettersi in piedi davanti a Dio: bellissimo. E poi c’è il Cammino di sant’Antonio, quello che, sempre di notte, si svolge nei circa 25 chilometri che separano i Santuari antoniani di Camposampiero dalla Basilica del Santo. I giovani hanno bisogno di camminare, di interpretare il dinamismo della vita. E anche questo cammino può essere l’occasione di un «incontro».

Sant’Antonio è considerato il Santo della famiglia, per gli innumerevoli interventi a suo favore. Ma il messaggio antoniano è ancora valido per le famiglie di oggi? Credo sia un messaggio validissimo, che rimanda a quel nucleo centrale di armonia, di unità e di crescita che la famiglia dovrebbe essere. Lo stesso saluto francescano, «pace e bene», potrebbe rappresentare il programma pastorale della famiglia: creare l’armonia tra persone che si vogliono bene. Credo poi che sant’Antonio ci aiuti, attraverso il suo esempio e attraverso anche l’opera che viene portata avanti dai suoi frati, ad ascoltare e ad accogliere soprattutto le famiglie in difficoltà, mostrando loro come, al di là della situazione in cui si trovano, ci sia sempre una speranza per riorientare la propria vita a Dio.      

Lei è originario della diocesi di Vittorio Veneto: inevitabile il rimando a papa Luciani che quella stessa diocesi guidò e che, come saprà, per anni collaborò con il «Messaggero di sant’Antonio» firmando la rubrica Illustrissimi. Chi è per lei Albino Luciani? Albino Luciani io non l’ho conosciuto personalmente, purtroppo. Però ho ascoltato la testimonianza viva di tante persone che l’hanno frequentato, ascoltato e, soprattutto, di tanti sacerdoti che gli hanno voluto bene e hanno stimato la sua opera. Papa Luciani, alla luce di tutto ciò, rappresenta per me l’esempio di un prete che desiderava vivere davvero il suo servizio «per» la gente e «dentro» la vita della gente. Molto attento, com’è giusto, ai principi di fede, ma al contempo molto attento anche alla situazione in cui la gente viveva. Egli, nella sua opera quotidiana, cercava di accogliere le persone nelle loro concrete situazioni di vita, aiutandole a compiere quei passi che le avrebbero condotte più vicino a Dio. Poi, certo, era un uomo molto colto, molto preparato dal punto di vista teologico, ma soprattutto era un grande pastore, sensibilissimo ai bisogni del proprio tempo. Anche quando parlava o scriveva, Albino Luciani non utilizzava l’«ecclesialese», cioè un linguaggio per iniziati, bensì sapeva esprimersi in modo semplice, farsi capire dalla gente comune. Ripeteva spesso ai suoi preti: «Se le vostre parole le capiscono i piccoli, state certi che le capiranno anche i grandi».

Lei è stato anche impegnato nel campo della pastorale vocazionale. Quale messaggio può dare oggi sant’Antonio a un giovane o a una giovane che vogliano abbracciare la vita religiosa e/o il sacerdozio? I giovani oggi hanno spesso un’idea strana dei disegni di Dio, e la colpa è di noi adulti che gliela abbiamo comunicata così. A loro, infatti, pare che il progetto di Dio sulla vita di una persona sia una cosa che opprime, che angustia, che non dà spazio alla propria umanità. E invece la prima cosa da capire e da far capire a un ragazzo è che nessuno ha su di lui un progetto più bello, più affascinante di quello di Dio.

Al termine di questa intervista, una domanda un po’ più personale: come ha scelto di diventare sacerdote? Le racconto un aneddoto. C’era una suora al mio paese – dove si cominciava presto a fare il chierichetto –, che mi invitava spesso a «servire messa», come si diceva allora, sin da quando avevo 6 anni. Mi vedeva di frequente in chiesa, perché abitavo proprio lì accanto, e perché una vecchietta del paese mi chiedeva talvolta di accompagnarla a messa la domenica o anche durante la settimana. Al suo primo invito risposi: «Ci penserò». Al secondo: «Non ho voglia». Ma la suora insisteva e insisteva. Così, dopo un certo numero di inviti, non ressi più e le risposi: «Senta suora, se io vado a fare il chierichetto, poi sarò proprio obbligato a fare il prete da grande?». Nella mia testa i chierichetti, che allora erano vestiti come dei piccoli celebranti, erano una sorta di prete in miniatura. E lei, sorridendo, mi rispose: «Ma no che non sei obbligato, stai tranquillo!». Beh, quelle parole mi liberarono dal peso dell’obbligo e, aprendomi la porta di una libertà interiore, mi spianarono la strada verso il sacerdozio.

Data di aggiornamento: 20 Ottobre 2017

1 comments

20 Ottobre 2017
Bellissima intervista; auguro a Monsignor Del Cin uno splendido cammino accanto al Santo che lo guiderà in ogni suo agire; prego S.Antonio di aiutare Mons. Del Cin e noi tutti, le nostre famiglie, a vivere nella pace, e nella buona salute. Ho conosciuto da grande la Basilica di Padova, ma il culto del Santo mi accompagna da sempre: lo prego perchè ci aiuti e ci protegga, pace e bene a tutti i Frati della Basilica.
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di Antonella

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