Ezio Bosso, la musica è di tutti

I suoi concerti sono un rito collettivo. Perché, per lui, la musica è patrimonio comune. Come il suo progetto di «studio aperto». Con Giorgia, Sara, Niccolò e Filippo, studenti liceali, abbiamo osato un’intervista condivisa.
09 Aprile 2017 | di

I suoi concerti sono una sorta di rito collettivo. C’è sempre un musicista in più oltre a chi sta sul palco: il pubblico. Proprio come avviene per i concerti delle rock star.

Oltre 90 mila gli spettatori che, nel 2016, hanno seguito il suo The 12th Room tour. Compositore e direttore molto apprezzato anche all’estero, nel 2011 scopre di essere affetto da una malattia neurodegenerativa progressiva che non frena però la passione, la creatività, l’esercizio quotidiano, anche se tra fatica e stop forzati.

La sua ricerca sul concetto di musica empatica gli è riconosciuta da pubblico e critica in tutto il mondo. Ci crede, Bosso. Tanto che, primo in Italia, ha dato il via a un’esperienza unica: lo «studio aperto». Il progetto, che è il suo manifesto filosofico, ha preso avvio a Palazzo Barolo a Torino. Così, per capire a fondo questo esperimento, non ci resta che viverlo.

Capita a Venezia, tea­tro La Fenice. Allo studio aperto, per concentrare al meglio la condivisione, partecipano non più di venti persone.

Tra loro Giorgia Brocca, Sara Colavitto, Niccolò Giambruno, Filippo Trevisani, studenti del liceo delle Scienze umane «Belli» di Portoguaro (VE).

Alla Fenice li ha portati il loro prof, Mario Tatalo, appassionato di musica e del suo mestiere. «La musica si fa insieme», esordisce Bosso. Così, lasciandoci con-durre dal maestro (che al termine «direttore» d’orchestra preferisce «con-duttore» ossia «colui che guida insieme»), anche la nostra intervista si trasforma, in modo naturale, in una sorta di partitura non esclusiva, la cui esecuzione non può essere a due mani, bensì… a dieci. Vale a dire con Sara, Niccolò, Giorgia e Filippo.

Msa. Maestro, perché la musica è di tutti?

Bosso. La musica non appartiene al singolo. Non è solo di chi la compone o di chi la esegue. Diffido di chi dice la «mia» musica. Essa è patrimonio comune.

Vale a dire?

È un atto di generosità, un grande dono. Deve crearsi un circolo continuo tra il musicista e chi ascolta.

La sua non è solo un’idea.

Dentro, infatti, c’è un grande progetto. Si chiama ZusammenMusizieren. Questo termine composto collega due parole, insieme e fare musica, in un unico concetto, amato dal maestro Claudio Abbado.

Sara. Adoro la sua Rain in your black eyes. Dove trae ispirazione nel comporre?

Tutto ciò che mi sta intorno, luoghi, volti, colori, suoni sono fonte di ispirazione. Per questo brano ho svolto una ricerca meteorologica, cercando i suoni prodotti dalla pioggia: da qui il titolo Rain. Poi ho chiesto alle persone cosa rappresentasse e ho assemblato i loro pensieri e sensazioni. Infine, dovevo metterci qualcosa di mio, ossia black eyes... e qui lascio a voi.

Niccolò. La musica non è solo semplice «arte», ma anche un «fattore sociale», capace di unire popoli e, al tempo stesso, di condizionarli. Penso agli anni ’60-’70, quando la musica trasmetteva messaggi d’emancipazione, di libertà di pensiero o di protesta. Oggi pare non sia più così.

Dobbiamo imparare a essere tutti più curiosi e attivi, a non accontentarci della semplice superficie, continuando a scavare, con le nostre forze e il nostro spirito di costante ricerca. Gli strumenti possono darci una mano, ma non possono darci il sogno. A quello non dobbiamo mai rinunciare. Il mondo della musica non è spento o solo commercializzato: è pieno di artisti pronti a prendere in mano le redini di quella musica piena d’impegno sociale.

Giorgia. Perché alcune persone sentono di più come propria la musica classica piuttosto che quella rock o altri generi musicali?

Non è tanto questione di sentire, quanto di appartenere al genere musicale che ci piace di più, perché avvertiamo che le nostre cellule sono parte di ciò. Noi siamo fatti della materia dei suoni. La musica è la nostra radice più interna: dobbiamo usarla per spiccare il volo.

Filippo. Molte persone hanno la fortuna di scoprire la musica da piccoli, altre più tardi. Per alcune diventa una passione, per altre solo un passatempo. E c’è chi non la conosce per tutta la vita o arriva addirittura a odiarla.

Anch’io ho avuto un momento buio. A causa della malattia non ricordavo più nulla, nemmeno le note. Ho dovuto ricominciare daccapo. Oggi sono un uomo con una disabilità evidente, ma non mi sento un disabile. Non sono malato, ma convivo con una malattia. Sono cambiate molte cose, cerco però di non cambiare la mia vita. La musica è la prima a insegnarti che un problema può diventare un’opportunità. Sono nato in un quartiere popolare. Non ho perso il gusto di stare in mezzo alla gente, andare al bar, fare la spesa al mercato, cucinare per gli amici. Mi sveglio tutte le mattine alle 6.30 e comincio a suonare. Inizio con Bach. Anche Mendelssohn, Chopin, Beethoven, ma è attraverso Bach che mi rapporto al divino.

Msa. E a fine giornata?

Bosso suona Bosso. Ma è come guardare un mappamondo. Ogni volta che accade mi sento piccolo piccolo.

L'articolo completo è disponibile nel numero di aprile del Messaggero e nella versione digitale della rivista.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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