Donne dell'islam contro l'intolleranza

Le algerine hanno vissuto in prima persona l'orrore del fondamentalismo islamico e l'hanno gridato al mondo. Che non le ha mai ascoltate.
27 Aprile 2004 | di

Nei media occidentali la donna musulmana è quasi sempre rappresentata come una vittima della tradizione e del regime patriarcale della società  in cui vive. Eppure, nei Paesi musulmani - così come nei Paesi occidentali - le donne hanno iniziato da decenni la lotta per emanciparsi dalle leggi segreganti e per la parità  dei diritti con gli uomini. La storia contemporanea di Paesi come Algeria, Libano, Egitto, annovera figure femminili che hanno precorso i tempi e spinto verso la  democrazia.
In Algeria questa è una verità  tangibile, a partire dalla lotta di liberazione dall'occupazione francese, combattuta, armi in pugno, accanto ai loro uomini. Arrestate, torturate, e condannate a morte dall'esercito francese, le donne hanno subito la stessa sorte degli uomini. Ma dopo l'indipendenza (1962), le combattenti, sono state relegate in casa, venendo escluse dalla vita politica del Paese.
Ciò non ha loro impedito, nel 1984, di manifestare davanti al parlamento contro il codice della famiglia che le rispediva dritte al Medioevo. Il codice, votato dall'unico partito, il Fronte di liberazione nazionale (Fln), si basava su un'interpretazione retrograda della Shariaa, la legge coranica, provocando nella società  una contraddizioneinsanabile. Mentre la costituzione della Repubblica dichiarava l'uguaglianza di donne e uomini, il nuovo codice, ironicamente battezzato dalle algerine il codice dell'infamia,  le rendeva cittadine di serie B.
Eppure, le donne algerine non si sono mai arrese all'esclusione. Dagli anni '70, ci sono sempre state donne deputate e ministre. Non c'è settore professionale in cui la donna non sia presente: dai corpi di sicurezza alla giustizia, dalla stampa alla medicina. Nelle ultime elezioni presidenziali dello scorso aprile, una donna, Louiza Hanoune, presidente del partito dei lavoratori, era candidata alla presidenza della Repubblica.
Nonostante gli sforzi, la situazione delle donne algerine è una delle più paradossali al mondo. Pur lottando ogni giorno contro il peso delle tradizioni e delle religione, assumono responsabilità  familiari, professionali e sociali.
Dall'inizio degli anni '80, circa quaranta associazioni femminili si sono attivate su tutti i fronti della vita sociale. Serrata la lotta per abrogare l'attuale codice della famiglia. Il testo autorizza la poligamia, il ripudio, non permette alle donne musulmane di sposare un uomo di un'altra confessione, mentre gli uomini possono sposare una non musulmana. In caso di divorzio, donne e figli sono privati dei loro diritti. Per sposarsi, la donna deve chiedere l'autorizzazione del padre o di un giudice che le faccia da tutore. Immaginate la situazione grottesca di una donna presidente di un tribunale che, per sposarsi, deve chiedere il permesso a un suo collega. Un testo rivisto del codice della famiglia è stato sottoposto alle autorità  da un gruppo di associazioni femminili ma finora nessun alto responsabile dei governi che si sono succeduti ha avuto il coraggio di affrontare l'argomento, per paura di inimicarsi conservatori e islamici.

Bersaglio dei terroristi

Quando il flagello del terrorismo islamico è scoppiato in Algeria, i gruppi armati hanno cominciato a sparare sulle donne. Il disegno era quello di instaurare in Algeria una repubblica islamica. I discorsi dei leader dei partiti islamici avevano annunciato da tempo le loro intenzioni, come aveva fatto Ali Benhadj, numero due del Fronte islamico della salvezza, nel 1991: L'unico dovere della donna musulmana è di produrre dei bravi musulmani. Alle minacce, hanno fatto seguito atti di aggressione. Nel 1989, molto prima che il Fis vincesse le elezioni del 1991, una vedova in un paese dell'Est è stata bruciata viva con i suoi nove figli dagli integralisti. Le aggressioni erano continue. Tra il 1992 e il 1998, alla vigilia di ogni 8 marzo, i gruppi armati lanciavano ultimatum alle donne senza velo. Di rimando, le donne uscivano più truccate e provocanti del solito, per sfidare quella minaccia.
Negli anni del terrorismo, le donne hanno pagato il prezzo più alto. A migliaia sono state assassinate, violentate, rapite... I gruppi armati si accanivano contro di loro perché  per prime avevano manifestato ad Algeri con slogan coraggiosi: L'Algeria non sarà  mai l'Iran, o Algeri non è Kabul. Era ormai il 1993. Le algerine sono state le prime ad avvisare il mondo del pericolo dell'integralismo e del terrorismo islamico. Purtroppo, le loro grida non sono state mai ascoltate. Si sono ritrovate da sole di fronte a un mostro. Forti di aver resistito, oggi  rivendicano ancor di più l'uguaglianza con i loro concittadini. Il prossimo governo avrà  il coraggio di tenerne conto?
(trad. di Aurelie Croissant)


Come tante sheherazad. Sulla terrazza proibita
di Giulia Cananzi

La diffusione del satellite e l'impegno delle donne stanno democratizzando il mondo arabo. Parola di Fatema Mernissi, intellettuale marocchina.

Splendida nei suoi sessantatré anni, Fatema Mernissi , sociologa e scrittrice marocchina, è approdata, lo scorso marzo, a Ferrara, al V Convegno nazionale della Società  italiana delle letterate, con la sua proverbiale ironia e un tema provocatorio: Sindbad o il Cowboy: chi vincerà  la globalizzazione?. Basta poco a capire che non si tratta del solito ritornello sulla lotta tra le civiltà , Sindbad, il marinaio delle Mille e una notte, (il classico del mondo arabo più conosciuto in Occidente) libero, curioso, aperto, è il simbolo di colui che non ha paura dell'altro e non ha confini; il cowboy è colui che mette limiti e steccati e che protegge i confini con le pistole. Insomma, da un lato l'uomo di dialogo e dall'altro l'uomo di chiusura, sia esso d'Oriente che d'Occidente. Chi vincerà , si porterà  dietro le sorti del mondo.
Che ruolo hanno le donne nelle società  arabe rispetto a tutto questo? Una pausa. Un largo sorriso: Non c'è Sindbad senza Sheherazad. Per voi l'eroina delle Mille e una notte è un simbolo di sensualità  con tutto il corollario di pregiudizi sulla vita dell'harem, per noi arabe è il simbolo della parola che vince sulla violenza. Per chi ha letto il romanzo della Mernissi, La terrazza proibita, il messaggio è diretto: nessuno più della donna araba, che ha subito e subisce limiti e prescrizioni, è pronta a varcare confini, a mettersi in gioco, a rischiare il confronto con la modernità . E ha una sola arma: la parola.
Fruga, Mernissi, tra le carte che ha sul tavolo, estrae una foto, la mostra. È l'immagine di un'antenna parabolica. Con questa le donne stanno attuando il più grande processo verso la democrazia interno al mondo arabo. Ma l'Occidente neppure se ne accorge. Nell'hotel in cui sono ospite, c'è la televisione satellitare. Ho detto tra me: bene, mi guarderò al-Jazeera. Poi accendo e vedo i soliti 20 canali. E mi domando: cosa sapete davvero di noi?. Nei Paesi arabi le televisioni satellitari sono 140 ma le antenne vagano con naturalezza su qualsiasi emittente straniera. In fondo, cosa c'è di più affascinante di questa terrazza proibita sul mondo? In Italia - continua - avete un solo Berlusconi, noi ne abbiamo una quarantina: tuttiche sgomitano per emergere e far fruttare i soldi del petrolio che li sostengono. Quindi, come escludere le donne che sono il 50 per cento degli spettatori?. 

Democrazia via satellite

Così l'antenna parabolica ha smesso di essere lo strumento del diavolo dei primi anni '90 e ora fa bella mostra di sé anche sulle case più povere, complice il costo esiguo della tecnologia.
L'impatto sociale è enorme: La parabolica ha distrutto l'harem, la netta divisione tra mondo pubblico e mondo privato, che segregava soprattutto le donne. Le donne, che già  avevano invaso le università  di alcuni Paesi arabi, primo luogo proibito accessibile fino a quel momento, sono uscite allo scoperto come un fiume che rompe la diga:  La necessità  di attrarre pubblico femminile ha portato i magnati dell'industria televisiva a reclutare non soltanto dei Sindbad professionali, ma una valanga di Sheherazad. Le tv arabe sono invase dalle donne, per giunta senza velo islamico. Solo in Egitto i giornalisti dei telegiornali sono all'85 per cento donne. Oggi il patto di ferro tra i Sindbad e le Sheherazad, cioè tra uomini e donne di dialogo, espressione dell'islam umanista, sta cambiando la scena pubblica.
Ma questo processo democratico non è d'importazione - sottolinea Mernissi -, affonda le radici nella cultura araba. La parola chiave è jadal, cioè l'arte della conversazione, di accettare il confronto e la polemica, di convincere l'avversario con argomentazioni intelligenti. La parola jadal ricorre in ventinove versetti del Corano, quindi è una parola importante. La televisione satellitare araba, prima fra tutti al-Jazeera, secondo Mernissi, ha messo alla base dei suoi programmi la tecnica dello jadal. E la novità  è dirompente per i tanti assetati di opinione.
L'islam democratico che descrive Mernissi è lontano mille miglia dal fondamentalismo urlante e violento a cui ci hanno abituato i telegiornali. L'Occidente è scosso, diffidente. E ha paura: Il fondamentalismo non ha niente a che fare con l'islam né con il Corano. La paura è figlia dell'ignoto. E forse qualcuno non vi fa sapere.... La sensazione che anche noi possiamo avere una terrazza proibita è inquietante. Chi toglie fiato al dialogo va dritto verso la guerra. Che cosa possiamo fare? Come finirà , dopo l'11 settembre, dopo Afghanistan e Iraq, dopo Madrid? Mernissi coglie il pessimismo e torna a sorridere: La jadal vincerà  sulla jihad (la guerra santa proclamata dagli estremisti): è un processo irreversibile che sfugge anche ai fondamentalisti.  Nell'era delle nuove tecnologie, la democrazia non ha più confini, così come i diritti politici e civili. Certo, c'è bisogno di tutti i Sindbad e le Sheherazad del mondo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017