Dialogo tra statue alla Galleria Borghese

Una splendida mostra a Roma pone le opere di Giacometti, rappresentative del Novecento, tra le sculture dell’arte greca, romana, del Barocco e del Neoclassicismo. Ne risulta un insieme davvero interessante.
29 Aprile 2014 | di

Cosa direbbe Paolina Bonaparte di Antonio Canova se potesse parlare alla Donna sdraiata che sogna (Femme couchée qui rêve) di Alberto Giacometti in mostra alla Galleria Borghese di Roma? Lo possiamo solo immaginare, certo è che il museo della scultura antica e barocca ha aperto le sue porte alle sculture più rappresentative del Novecento, creando un contrasto solo apparente in una delle mostre più belle degli ultimi anni.

I curatori, Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese e Christian Klemm, uno dei massimi esperti dello scultore, hanno proposto la mostra «Giacometti. La scultura» nelle sale della Galleria Borghese, scrigno di tesori dovuti innanzitutto alla passione per l’arte del cardinale Scipione Borghese, luogo che tutto il mondo ci invidia e che lo stesso Giacometti frequentò come ricorda Klemm nel catalogo edito da Skira. Già perché lo scultore tra la fine del 1920 e il 1921 soggiornò per circa sei mesi a Roma e qui praticò con perizia l’esercizio della copia: proprio alla Galleria Borghese copiava Rubens definendolo «una delle grandi scoperte di quella giornata». E sempre qui a Roma Giacometti schizzava vedute del Tevere e faceva ritratti come la mostra documenta.

In questo stupendo museo, dove si conservano capolavori della scultura antica, barocca o neoclassica, come le opere del Canova che cercava la perfezione attraverso infiniti rifacimenti, campeggiano fino al 25 maggio le opere di Giacometti, i suoi uomini solitari e allampanati. In una mostra che evidenzia la continuità del concetto di scultura attraverso i secoli si propone un confronto per certi versi drammatico.

Dice la direttrice della Galleria Borghese, Anna Coliva: «La drammaticità deriva dal contrasto tra la positività con cui è rappresentato l’essere umano fino a quel momento e l’impossibilità che ha l’arte moderna di dare una rappresentazione figurativa, perché tante cose sono state messe in crisi nel Novecento e la scultura più di tutto. Anche nello sguardo si percepisce questo dramma: l’occhio della scultura antica è diretto, sicuro; con Bernini entrano i moti dell’animo. Lo sguardo di Giacometti è talmente drammatico che sembra quasi spento. Mentre la scultura antica costruisce lo spazio attorno a sé, la scultura di Giacometti lo distrugge. Questa è la drammaticità esistenziale, da cui deriva poi l’espressione artistica».

Le statue di Giacometti portano in sé tutta la drammaticità del Novecento, il secolo delle guerre e dei genocidi, il secolo dell’olocausto, che ha visto l’uomo drammaticamente solo di fronte al male. E l’Uomo che cammina (Homme qui marche) è un po’ l’emblema di tutto il secolo scorso con la sua ricerca di senso, con gli esiti esistenzialisti, ma anche con la destrutturazione della forma che ha visto nell’arte gli esiti più diversi. Le figure solitarie dello scultore del Novecento trasmettono fragilità, vulnerabilità e tormento, mentre le sculture dell’antichità classica ci mostrano la bellezza, la compostezza e quelle barocche palesano l’abilità dei loro artefici. La cosa sorprendente è però scoprire un dialogo e incredibili affinità tra tutte queste opere, espressione – come si è detto – di tempi e di stili molto diversi.
 
Un viaggio nei secoli
Alberto Giacometti nasce il 10 ottobre 1901 in Bregaglia, nel Cantone dei Grigioni, in Svizzera. È figlio d’arte, suo padre è il pittore Giovanni Giacometti, la madre è Annetta Stampa. Studia a Ginevra, visita Venezia, Padova, Roma, Firenze, rimanendo affascinato dall’arte italiana, ma la sua patria di elezione è Parigi. Alberto conosce bene fin da giovane tutta l’arte del passato, attraversa il surrealismo, il cubismo, è attratto fatalmente dall’arte egizia e da quella primitiva, ma trova uno stile tutto suo. Oggi le sue opere sono presenti nei più importanti musei del mondo (Peggy Guggenheim era una delle sue grandi ammiratrici).

Le sue opere in mostra oggi a Roma accanto a quelle della collezione dei Borghese creano un effetto magico. All’ingresso della Galleria ci sono grandi opere in bronzo, la Grande donna II (Grande Femme II) e l’Uomo che cammina I (Homme qui marche I), concepite nel 1960 da Giacometti per uno spazio aperto a New York. Stanno da pari a pari con l’imponente statuaria romana, come il grande satiro, tra stucchi e marmi policromi delle pareti.

Nella sala del Canova troviamo Paolina Bonaparte rappresentata come una Venere vincitrice (1805-1808) accanto alla Donna sdraiata che sogna (Femme couchée qui rêve, 1929), alla Donna sdraiata (Femme couchée, 1929) e alla Testa che osserva (Tête qui regarde, 1928-29). È tutto un rimando di chiaro scuri di statue di bronzo, di marmo, di gesso, baciate dalla luce: Paolina osserva assorta Leda con il cigno (arte romana del I secolo) e la rotondità delle sue forme perfette si diffonde nell’aria fino a riflettersi nella Donna sdraiata che sogna di Giacometti. «Nella stanza di Paolina Borghese – spiega ancora Anna Coliva – abbiamo scelto di mettere le opere astratte di Giacometti, perché abbiamo cercato di seguire nella mostra le date del suo sviluppo. Le fasi surrealista, e anche cubista, sono state molto importanti, anche se abbandonate. Nella stanza dove c’è l’opera (di Canova) emblema della figuratività in arte, abbiamo inserito le opere più astratte di Giacometti, ma in questa mancanza assoluta di relazione formale si crea un rapporto di fluidità e di ritmo tra l’andamento della figura sdraiata di Paolina e la Femme couchée qui rêve. Per cui sembra che Paolina si proietti in quest’opera, ne venga come “liofilizzata”. E ne rimane un accenno nell’aria che è questo andamento della forma».

Nella sala del David di Gian Lorenzo Bernini il movimento del giovane David nell’atto di scagliare la sua pietra contro il gigante Golia si trasmette ne L’uomo che vacilla (L’homme qui chavire, 1950) di Giacometti.

Nella sala di Apollo e Dafne del Bernini, dove Dafne sta per trasformarsi in una pianta di alloro, le donne di Giacometti hanno piedi enormi come radici e pelle simile a corteccia d’albero.

La Mano (La Main, 1947), privata del corpo, è stata ispirata all’artista da un braccio staccato che egli vide quando nel 1940 era in fuga da Parigi per la guerra.

Nella Sala dell’Ermafrodito (arte romana) ci sono la Donna Cucchiaio (Femme cullière, 1927) o la Donna sgozzata (Femme égorgée, 1932) in un rimando di bianchi, neri e grigi del bronzo, del marmo e del porfido che dialogano tra loro.

L’uomo che cammina sotto la pioggia (Homme qui marche sous la pluie, 1948) esprime fragilità, stanchezza, fatica, ma è pur sempre un uomo in viaggio come l’Enea del Bernini con il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio ai piedi mentre fugge dalla città di Troia in fiamme. L’opera novecentesca di bronzo e l’Enea di marmo del Seicento ammiccano in una comunanza di destini.

«Giacometti – spiega ancora la dottoressa Anna Coliva – conosceva, come tutti i grandi artisti, tutto quello che era successo fino a quel momento. Il passo di Giacometti ha una lunga storia formale, comincia con il passo del Cristo portacroce della Minerva di Michelangelo, con la figura appoggiata sulla gamba leggermente in torsione che diventerà uno degli stilemi del manierismo. Bernini, dopo cento anni, riprende quella posizione e gli ridà una determinante naturalistica: Enea rifà esattamente quel passo perché deve tenere il peso di Anchise sulle spalle. Dopo alcuni secoli, nel momento della massima crisi dei mezzi e della finalità dell’arte moderna, Giacometti riprende questo stesso movimento. E ne sente tutta la pesantezza: ma il peso diventa un fatto esistenziale. Cioè il peso non è più dato da un movente naturalistico oggettivo, ma da una difficoltà esistenziale, da una fatica del vivere che il Novecento urla con tutta la sua disperazione».

Nella sala egizia della Galleria Borghese si trova la Donna che cammina II (Femme qui marche II, 1932-1936), un bronzo scuro, che richiama il basalto delle statue egizie. Quest’opera, che evidenzia la fascinazione dell’arte egizia subita da Giacometti, è posta vicino a una monumentale Osiride (XVIII secolo) opera di Antoine-Guillaume Grandjacquet che proviene dal Louvre di Parigi.

L’ultima sala, al piano superiore, è quella del Lanfranco dove le figure mitologiche degli affreschi fanno da cornice ad alcuni busti di Giacometti, tra cui quello della moglie Annette, posto proprio di fianco al busto del cardinale Scipione Borghese, opera del Bernini.

A conclusione di questo percorso straordinario, si può dire che le opere di Giacometti non potevano trovare migliore collocazione e quello che potrebbe sembrare contrasto in realtà è dialettica. È uno dei miracoli dell’arte che è prima di tutto un dialogo fitto di richiami e di rimandi che attraversano i secoli, assorbendoli e superandoli.
 
INFO
Giacometti. La scultura
Galleria Borghese

fino al 25 maggio
prenotazione obbligatoria
tel. 06 32810


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017