07 Dicembre 2017

Dear Homeland, Cara Italia

Le videolettere di tanti ragazzi italiani espatriati, raccolte da Ada Francesca Rizzoli per l'emittente australiana Sbs, sono un «atto d’accusa» contro il loro Paese d’origine, dettato dal risentimento per essersene dovuti andare e dalla nostalgia.
© Ada Francesca Rizzoli

Le lettere sono state, per lungo tempo, l’unico modo di tenere vivi i rapporti tra gli emigranti e i loro Paesi d’origine. Un mezzo per raccontare e raccontarsi su carta, atteso con trepidazione. Ancora oggi, nonostante l’immediatezza della tecnologia e l’iperconnessione, risultano essere una forma d’espressione preziosa, sebbene rara, che permette di riflettere e condividere pensieri senza la brevità e la freddezza di un sms o di una e-mail.

Proprio a una «lettera» si sono affidati anche alcuni ragazzi italiani in Australia che hanno preso parte a un progetto della giornalista italo-cilena Ada Francesca Rizzoli: «Dear Homeland» è un’iniziativa video realizzata da Sbs, emittente radio-televisiva australiana.

In una serie di quattro clip evocative e di impatto, Francesca dà voce a migranti di quattro nazioni: Italia, Siria, Somalia e Iraq. Nel caso dell’Italia, in pochi minuti, sono condensate le emozioni e i pensieri di una generazione che ha lasciato il Bel Paese per diversi motivi: chi per un lavoro, chi per una nuova opportunità, chi per rincorrere un sogno, o alla ricerca di qualcosa; e ora, guardandola da lontano, si sente di poterle parlare, seppure con sentimenti contrastanti.

Se da un lato, infatti, c’è la chiara mancanza della famiglia e di un luogo che abbia visto crescere questi ragazzi, li abbia nutriti e ispirati, dall’altro non può non trasparire del risentimento per un allontanamento visto, a volte, come una necessità o un’imposizione. «Gli italiani si meritano di più», afferma uno dei protagonisti, specialmente dopo che si mette a confronto la realtà della Penisola con quella di un Paese diverso.

«Cara Italia» è indubbiamente una lettera d’amore ma, come in tutte le storie, ci sono interrogativi, dubbi, distacchi più o meno temporanei, e qualche accusa: «È un gran peccato – dice Rocco, un musicista –: c’è tanto potenziale sprecato dietro a una serie di meccanismi arrugginiti». «Ho una domanda per te – chiede invece Erika, traduttrice –: perché chiudi la porta a chi hai cresciuto e formato? Io non mi sento una pecora nera, e spero che queste porte si apriranno». Emerge, infatti, la voglia di rientrare, a un certo punto, per quella «bellezza imbarazzante», per i sapori e i profumi di una terra che rimane dentro, che è la propria. La speranza dei ragazzi è che si riesca a cambiare passo, e che le cose possano migliorare.

«Fidati di noi – esorta Alberto, designer –. So che ne hai viste tante, che hai molta esperienza, ma fidati di noi. Abbiamo visto altre realtà, dacci una possibilità».

Data di aggiornamento: 11 Dicembre 2017
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