Da grande farò l’astronauta

L’astronauta Samantha Cristoforetti invita a guardare il mondo da un’altra prospettiva, nella quale non ci sono confini. Quelli che spesso noi costruiamo nei rapporti con gli altri, tra le culture, tra le religioni, nel nostro modo di guardare.
06 Giugno 2015

Da bambino ho sempre sognato di fare l’astronauta. Sono sempre stato affascinato dall’infinito, dall’illimitato, da quello che a prima vista si può solo intuire… Così, quando qualche tempo fa su «Rai News» ho ascoltato una bella intervista all’astronauta Samantha Cristoforetti, aviatrice e ingegnere oltre che prima donna italiana nello spazio, sono tornato con la mente a quella sensazione e la mia curiosità si è subito accesa.   Tra le numerose domande dei giornalisti, ce n’è una che mi ha stuzzicato particolarmente: «Samantha, che cosa vedi da lassù?», le ha chiesto un’inviata. «Beh, questa è una domanda complessa − ha risposto l’astronauta −. Nello spazio non ci sono confini, non ci sono cartine geografiche che definiscano dei limiti fisici così come avviene sulla Terra. Quassù tutto è privo di margini, non ci sono separazioni, la realtà è indefinita e va ben al di là delle forme».   Allora ho cominciato anch’io a viaggiare nel blu e a pensare a come, tra cielo e terra, si disegni continuamente lo spazio delle nostre relazioni, alle cartine geografiche che, quaggiù, ci creiamo intorno. Le linee non sono solo immaginarie. Se la persona mette un paletto tra sé e l’altro che ha di fronte, ecco, infatti, che si disegna subito una prima linea. E lo stesso accade se la seconda linea viene tracciata tra sé e chi le si siede accanto, o se il paletto si pone tra sé e ciò che sta al di sopra, compreso Dio. Ben presto ci accorgiamo che, linea dopo linea, la persona avrà costruito intorno a sé una gabbia e che i paletti si sono trasformati in sbarre.   Le nostre personali «cartine geografiche» finiscono spesso per trasformarsi in vere e proprie «cartine tornasole», cioè diventano indicatori universali delle nostre paure e dei nostri pregiudizi; paletti statici e ben radicati a terra, proprio come le sbarre di una prigione. I confini entrano nei rapporti, nelle culture, nelle religioni, nel nostro modo di guardare… Samantha ci insegna che è possibile guardare il mondo da un’altra prospettiva, fuori da ogni linea di demarcazione, nello spazio, dove siamo soli a fare i conti con la nostra libertà e Origine.   Dall’esterno, ampliando i confini, il mondo ci appare tutto nuovo, multiforme, in movimento, per certi versi indecifrabile e per questo ancora più bello e interessante. Perché siamo noi, di fatto, a costruire la nostra gabbia di sicurezze, la nostra «prigione». Siamo noi a decidere come spostare le linee, che cosa mettere o non mettere tra noi e gli altri, a inventare geografie. La risposta della nostra viaggiatrice galattica ci riporta non solo sui territori della diversità, ci mette a confronto con tanti altri contesti. Come la scuola, che non può essere educativa se non è capace di uscire dalle classi; come la politica, che non può dirsi sociale se non allarga lo sguardo all’insieme; come la cultura, che non può dirsi tale se non si confronta con l’altro da sé.   E voi, per spostarvi a zonzo per lo spazio, usate le cartine o il navigatore GPS?   Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.    

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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