Cresce l’insicurezza? L’antidoto è la pace

Anche in luoghi «normali» come una piazza affollata o un aeroporto non ci sentiamo più sicuri come prima del terrorismo. Solo la cultura della pace potrà davvero cambiare la situazione.
27 Febbraio 2017 | di

Alzi la mano chi oggi non è pervaso da un profondo sentimento d’insicurezza. Chi può dire che nulla sia stato minato nella sua vita dagli atti di terrorismo susseguitisi in Europa e nel mondo. Chi, prendendo un aereo o un treno, entrando in un ristorante o in un locale, frequentando un supermercato o una piazza affollati, non abbia pensato che anche lì, in quel luogo «normale», chissà, qualcosa di terribile potesse accadere. La sicurezza è uno dei nostri beni più preziosi. In questi anni lo abbiamo perduto, e c’è chi pensa sarà impossibile riconquistarlo.

È possibile, invece, invertire la rotta? È possibile che la politica, i governi, riescano a restituirci la sicurezza? In molti ci stanno provando. Si deve però ammettere che quanto fatto è stato poco efficace. Il nostro senso d’insicurezza permane.

Finora la politica ha fatto fronte in tre modi: con la guerra, con l’intelligence e con il controllo poliziesco. Non entriamo nel merito delle singole risposte, dei pericoli che esse contengono o delle scelte morali che sottendono. Ci limitiamo a dire che non sono state sufficienti e che, spesso, hanno prodotto altri danni. La guerra ha generato altre guerre e morti innocenti, l’intelligence non è stata in grado di fermare atti di terrorismo talvolta annunciati, il controllo sulla vita dei cittadini ha significato un’invasione della privacy e una limitazione delle libertà incompatibili con le nostre scelte di civiltà.

Il motivo di questa inefficacia sta nel fatto che tutte le risposte intervengono sulle conseguenze e non sulle cause. Tentano di bloccare i terroristi, ma non riescono neppure a individuare le cause di un male – il terrorismo – che agisce a livello planetario e interviene nella vita dei singoli. Sulle radici ancora ci si accapiglia. Stiamo assistendo a una guerra di religione? O l’Occidente paga il prezzo di uno scontro interno al mondo islamico? È la reazione terribile e deviata del sottosviluppo di alcuni Paesi? O la risposta alle guerre portate dai Paesi sviluppati? È la risposta ai costumi e alle libertà occidentali, che alcuni hanno deciso di combattere? È follia omicida ammantata da principi religiosi o è una religione che spinge alcuni alla follia omicida?

Difficile intervenire su un male senza individuarne le cause. Eppure una di esse, forse la più importante, è evidente: è l’assenza di una cultura della pace, la mancanza di un produttivo, intenso messaggio di non violenza a livello mondiale. La mancanza in politica di strumenti ideali e pratici costruiti sui valori della pace porta per forza all’esplosione dei conflitti. E un mondo costruito sulla violenza – delle armi, dell’economia, dei mass media – è inevitabilmente insicuro.La cultura della pace affermata, agita e diffusa, praticata nelle decisioni non solo dei singoli ma degli Stati è oggi l’unico modo per riconquistare una sicurezza che, altrimenti, è perduta per sempre. In pochi, purtroppo, se ne rendono conto.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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