Cinema du Desert

Un camion con i pannelli solari, alcuni film, impianto di proiezione eco-compatibile, un carico di solidarietà e il cuore aperto all’avventura. Così, da otto anni, Davide Bortot e Francesca Truzzi portano la magia della settima arte ai confini del mondo.
27 Novembre 2017 | di

Quando i fratelli Lumière presentarono, nel 1896, il loro cortometraggio «L’arrivo di un treno alla stazione de La Ciotat» in cui una locomotiva a vapore procedeva dalla profondità dello schermo verso la platea, leggenda vuole che gli spaventatissimi spettatori, temendo di essere travolti dal treno, siano stati protagonisti di un fuggi fuggi generale.

Della magia, del realismo e della fascinazione del cinema, allora come oggi, non è immune, perfino in tanti luoghi remoti della Terra, neanche quel pubblico che spesso un cinema non l’ha mai visto o che non sa nemmeno che cosa sia il cinema. Almeno finché non è arrivato il Cinema du Desert. Davide Bortot e Francesca Truzzi, lui scenografo e tecnico delle luci, lei sociologa – insieme nel lavoro e nella vita – dal 2009 hanno percorso 130 mila chilometri con spedizioni in Africa, in Asia e in Europa. Oltre a due campagne estive di educazione alla mondialità in Trentino-Alto Adige. Hanno fatto vedere film a oltre 200 mila persone. Un pubblico assai variegato, dai bambini agli anziani.

La loro invenzione, il Cinema du Desert, si è rivelata uno straordinario strumento itinerante di divulgazione culturale e di aggregazione sociale; con un camion dotato di pannelli solari, nato come Solar Mobile Cinema, trasformato in una casa-mobile, che inizialmente avrebbe dovuto funzionare come studio di registrazione per raccogliere tradizioni musicali in giro per il mondo.

Nei film che portano in giro per il mondo, Davide e Francesca propongono temi soprattutto ambientali, ma anche comiche e film d’animazione, per lo più poco dialogati, affinché siano comprensibili a popoli che parlano lingue e dialetti diversi, dall’Africa fino alla Mongolia.

A sostenerli in questa impresa molto impegnativa sono alcune organizzazioni come Connect4climate, un network mondiale creato per la diffusione di buone pratiche nel campo ambientale, il Museo Italiano del Cinema di Torino e la Fondazione Motul Corazon. E anche tanti privati che si sono mobilitati in questi anni, come la compagnia di navigazione Grandi Navi Veloci e l’azienda produttrice di schermi Screenline.

In viaggio tra dune e steppe

I rischi connessi a ogni spedizione sono notevoli. «Nel 2011 eravamo in mezzo al deserto del Sahara, in Mauritania. Abbiamo perso in corsa le ruote dell’asse posteriore del camion. Fortunatamente non arrivava nessuno dalla direzione opposta. Abbiamo raccolto i pezzi tra le dune, e approntato una riparazione d’emergenza. La sera si sono presentati da noi alcuni nomadi, non sapevamo bene con quali intenzioni. Così abbiamo improvvisato una proiezione in mezzo al deserto».

Con Davide e Francesca viaggiano almeno altre 4 o 5 persone. All’inizio si trattava di amici e conoscenti. Ma negli ultimi anni si sono aggregate anche persone che li hanno contattati tramite il loro sito internet o i social network. È un’esperienza indimenticabile, ma non priva di disagi come la dissenteria e il sempre incombente rischio di contrarre la malaria.

Quando il Cinema du Desert arriva in una località, il camion viene parcheggiato dopo aver preso accordi con il capo-villaggio. Si stendono grandi stuoie di plastica riciclata e intrecciata, realizzate in Marocco, che fungono da tappeto per il pubblico. Si allestisce un grande scivolo gonfiabile con cui i bambini giocano oppure si organizza un torneo di calcio. Intanto viene issato un grande schermo cinematografico su una fiancata del camion, sistemato l’impianto audio e collegato il videoproiettore.

Tutto è alimentato dai pannelli solari del camion che servono anche a fornire elettricità alla pompa dell’acqua e all’illuminazione dello stesso camion-casa. A cena, si mangia tutti assieme con la gente del luogo che magari porta una carota, dei pomodori oppure un pugno di arachidi. Dopo cena, prima viene proiettato il dvd o il file in alta risoluzione di un film per ragazzi e poi un altro film per gli adulti.

Il viaggio più difficile è stato quello in Mongolia e in Siberia a causa dell’assenza di strade e delle enormi distanze tra un luogo abitato e un altro. E poi per le difficoltà linguistiche e l’alfabeto diverso. Le uniche tappe per il rifornimento di derrate alimentari sono infatti i supermarket delle (pochissime) città lungo il tragitto, prima di affrontare l’ignoto e la savana: il regno di animali selvaggi, pericolosi o feroci. Ma non c’è da preoccuparsi. «In genere si tengono alla larga quando vedono tanta gente. A parte una sera, quando si è presentato un grosso ragno: una vedova nera che si era infilata tra gli spettatori creando un po’ di parapiglia».

Il sorriso della libertà

Le pellicole più gradite, in questi anni, sono state quelle d’animazione. Nei villaggi non si è parlato d’altro che del film «Babies» del regista francese Thomas Balmès. È la storia di quattro bambini: uno nato in un villaggio della Namibia, un altro in una Yurta in Mongolia, un altro a Tokyo, in Giappone, e il quarto a San Francisco, negli Stati Uniti. Il film narra il primo anno di vita di questi bambini, da quando nascono a quando camminano. Mentre dagli adulti è stato apprezzato moltissimo «Home» di Yann Arthus-Bertrand, un film documentario sull’ambiente e sui cambiamenti climatici.

A volte, anche le emergenze si trasformano in opportunità. «Abbiamo compiuto due spedizioni nei campi dei rifugiati in Grecia, nel 2016, all’epoca della crisi di Idomeni. Grazie ai film di Charlie Chaplin siamo riusciti a far ridere tutti: dagli afghani ai siriani, e abbiamo avuto una risposta eccezionale. Il papà di una bambina afghana di 3 anni è venuto in lacrime da noi a ringraziarci perché, per la prima volta, aveva visto sua figlia ridere. In un’altra occasione eravamo in una zona tra il Mali e la Guinea, ricca di agricoltura e fiumi. Lì abbiamo trovato un’associazione di contadini che avevano adottato buone pratiche di compostaggio: occorreva divulgarle alla comunità locale. E così abbiamo costruito una stazione radio Fm alimentata a energia solare, con pannelli, trasmettitore Fm e un’antenna che ci erano stati regalati da alcuni privati. Radio Sangarani, che ha preso lo stesso nome del fiume che bagna le rive di quella zona, trasmette da tre anni».

Data di aggiornamento: 27 Novembre 2017

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