07 Maggio 2019

Un acuto per la lirica

Il tenore siciliano Antonino Siragusa lancia un appello alle istituzioni: più educazione musicale nelle scuole e più opera in televisione. I giovani sono il futuro del bel canto.
Antonino Siragusa
Antonino Siragusa ne L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini.
©FabioParenzan

Nato a Messina, il tenore Antonino Siragusa ha iniziato gli studi musicali nella sua città natale presso il Conservatorio «Arcangelo Corelli» sotto la guida di Antonio Bevacqua. Il debutto nel 1996 nei ruoli di don Ottavio nel Don Giovanni al Teatro Politeama di Lecce, e di Nemorino ne L’elisir d’amore a Pistoia, raccogliendo unanimi consensi da parte di pubblico e critica. Da allora Siragusa si è esibito sui palcoscenici più importanti del mondo, fra i quali il Teatro alla Scala di Milano, il Metropolitan di New York, la Wiener Staatsoper in Austria, l’Opéra National de Paris, la Staatsoper e Deutsche Oper di Berlino, il Teatro Real di Madrid, il Liceu di Barcellona, il New National Theatre di Tokyo. Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra come Valerij Gergeev, Riccardo Muti, Daniel Oren, Daniele Gatti, Alberto Zedda, Roberto Abbado e Yves Abel.

MSA. Cosa caratterizza la sua generazione rispetto alla stagione dei Del Monaco, Di Stefano e Pavarotti? Siragusa. Io credo che paragonarsi a questi mostri sacri dell’opera lirica sia perlomeno presuntuoso, quindi mi limito a dire che sono stati di grande stimolo. Per me soprattutto Pavarotti e Kraus, che ho sempre ammirato per la scelta del repertorio che li ha portati a cantare fino a età avanzata. 

Andrea Bocelli è un tenore con un’impostazione «classica», eppure è diventato famoso come cantante di musica leggera. Lei, invece, ha fatto il percorso contrario. Perché? Ho cominciato a suonare la chitarra a 10 anni. A 13 avevo già il mio primo gruppo musicale che ho portato avanti fino all’età di 24 anni quando ho scoperto l’opera. Ho avuto il piacere di suonare e cantare con Rita Pavone e altri cantanti di musica leggera. Ma quando mio padre mi sentì cantare, «per scherzo», Granada, mi disse di farmi sentire da un maestro di canto lirico. Io, un po’ incredulo, accettai, e così conobbi il mio maestro Antonio Bevacqua a cui devo la mia carriera. Avevo 24 anni. Forse era tardi. Ma sono qui. Ho debuttato a 30 anni, e quindi adesso sono 24 anni di carriera. 

È deluso o soddisfatto delle nuove e vecchie proposte presentate all’ultimo Festival di Sanremo? Esiste ancora la musica melodica italiana? La musica è molto cambiata. Oggi c’è molta varietà musicale, ma io resto ancorato alla melodia e a un bel testo che possa davvero arrivare al cuore. 

Chi sono gli autori e i musicisti dell’opera italiana che lei ama di più? Canto molto Rossini, che per me è un grande rappresentante dell’opera italiana, ma nel mio cuore ci sono anche Donizetti e Bellini. Mentre il mio sogno nel cassetto resta La Bohème di Puccini che è un assoluto capolavoro per musica, libretto ed espressione vocale.

Quali sono i personaggi dell’opera che sente più vicini alla sua sensibilità artistica? Il Conte D’Almaviva de Il Barbiere di Siviglia di Rossini mi diverte molto cosi come Nemorino de L’elisir d’amore di Donizetti, ma mi sono cimentato anche in personaggi seri come Arnold del Guglielmo Tell di Rossini che amo molto cantare. A me piace molto scherzare, per cui prediligo i ruoli buffi. 

Nelle sue esibizioni in giro per il mondo, avrà avuto modo di constatare il legame degli italiani all’estero con la loro cultura d’origine. Sì, molti fans italiani che vivono all’estero sono effettivamente entusiasti che la nostra «bandiera» venga portata con orgoglio nel mondo, attraverso la musica e la cultura.

Quanto conta ancora l’opera lirica nella promozione della cultura italiana nel mondo? L’Italia paga da tempo, purtroppo, il poco interesse da parte delle istituzioni che la gestiscono, e quindi l’opera risulta, a volte, per pochi mentre l’opera nasce per unire i popoli. La musica, in generale, nasce per questo. Alla corte del re o nel teatro di corte c’erano i nobili e il popolo insieme, uniti dall’opera. Quindi credo che l’opera sia per tutti e non un prodotto di nicchia. Il pubblico italiano pretende sempre molto, ma a volte, a mio giudizio, dovrebbe divertirsi di più e godersi i cantanti attuali senza continuare a vivere nel passato anche perché i cantanti del passato sono delle icone intoccabili che nessuno di noi si sognerebbe minimamente di utilizzare come paragone.

Si dice che non si faccia abbastanza per educare i giovani alla musica. Quale compito dovrebbe assumersi la scuola? A volte, nelle scuole, la musica passa in secondo piano mentre ci vorrebbe uno spazio adatto per interessare i bambini e i ragazzi perché sono loro il futuro della musica. 

Come vede, in prospettiva, la lirica? Diventerà un’offerta culturale di nicchia oppure ha davanti a sé un futuro promettente? Penso che l’opera dovrebbe essere degna di un po’ più di attenzione da parte dei mass media, e magari passare in tv in orari più consoni. È un’immagine del nostro tempo che meriterebbe uno spazio importante per avvicinare i giovani a un mondo che sembra essere tanto distante. Io mi auguro che l’opera continui a destare interesse anche perché è una delle arti più antiche che ci siano, e spero che tutto ciò che ci è stato lasciato dai nostri compositori continui a risuonare nei teatri portando la gioia nei cuori di chi ascolta, e magari facendo dimenticare per un attimo i problemi della vita quotidiana. Viva l’opera!

Data di aggiornamento: 07 Maggio 2019
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