A tu per tu con Lo Stato Sociale

Nemmeno loro si aspettavano di diventare la rivelazione dell’ultimo Festival di Sanremo. Albi, Checco, Lodo, Bebo e Carota, i cinque “regaz” che compongono Lo Stato Sociale, si raccontano.
16 Aprile 2018 | di

Solo due anni fa non avrebbero immaginato di essere in gara a Sanremo, e tantomeno di sfiorare la vittoria: «Andiamo a svaligiare il bar della canzone italiana», avevano scritto su Twitter alla vigilia del festival. E non avrebbero neppure pensato di cantare insieme al Piccolo Coro dell’Antoniano. «Sono cose che... non ci credi finché non le vedi», ride Alberto «Bebo» Guidetti, uno dei cinque vulcanici regaz bolognesi de Lo Stato Sociale.

Con Una vita in vacanza sono stati proprio loro la rivelazione – o rivoluzione – del Sanremo targato Claudio Baglioni: Albi, Checco, Lodo, Bebo e Carota, classificati al secondo posto («E noi che volevamo arrivare ultimi...»), hanno saputo arrivare dritti al pubblico, aggiudicandosi anche un disco d’oro in pochi giorni.

La storia de Lo Stato Sociale, tuttavia, è iniziata già nel 2009: «Siamo un collettivo di cinque amici che per noia hanno cominciato a fare musica in un vecchio garage», raccontano. Le loro non sono solo canzonette: da Turisti della democrazia a Primati, hanno saputo affrontare questioni sociali e politiche, sentimenti e disillusioni delle nuove generazioni nell’apparente tono spensierato di un’ironia giocosa.

 

Msa. Dagli esordi a oggi, cos’è cambiato?

Lo Stato Sociale. Abbiamo passato anni a suonare anche nei locali più improbabili, per arrivare fino al Forum di Assago. Siamo stati la prima band indipendente a riempire un palasport, la prima a farsi richiamare da Salvini, la prima a esibirsi a San Marino. Tre furgoni, alcune casse, centinaia di migliaia di chilometri: la sfida è restare sempre gli stessi ragazzi.

Arrivate dall’universo cosiddetto «indie». Che cosa significa?

«Indie» è l’abbrevazione anglofona di «independent»: vuol dire essere slegati dalle logiche commerciali delle major discografiche, decidere i propri tempi e i propri modi, avere il controllo completo dell’opera. Si può restare «indie» anche a Sanremo: basta volerlo.

Quale messaggio vi piace inviare?

Ci interessa soprattutto riuscire a creare collettività e aggregazione. Fare musica è un modo per stare insieme tra noi e insieme a chi partecipa ai concerti o vuole dedicarsi cinque minuti sereni nell’ascolto di una canzone. Cerchiamo di utilizzare le forme e i linguaggi che meglio ci rappresentano. Naturalmente i brani più «scanzonati» funzionano di più.

Una vita in vacanza è una riflessione divertente (ma dal retrogusto amaro) sui lavori di oggi. Com’è nata?

L’idea è venuta ad Albi mentre ritornava proprio dalle vacanze estive, partendo da domande che possono sembrare banali. Perché ogni volta che terminiamo una vacanza pensiamo già a quella successiva? E come mai il lavoro è diventato uno spettro spaventoso? La risposta sta anche nella deregulation completa del mercato del lavoro e nella progressiva sottrazione dei diritti dei lavoratori. Oggi spesso il lavoro non è più considerato come la possibilità di essere realizzati e felici. L’unica alternativa parrebbe il poter andare in vacanza per una vita, invece l’orizzonte dovrebbe essere un altro: poter considerare il proprio lavoro una vacanza.

Voi regaz portate ovunque la regazness. Cos’è?

È stare al baretto con gli amici a dire fesserie per ore, o parlare di cose altissime e complicate con la naturalezza di chi davvero non sa come spiegarle. È il luogo dell’anima dove poter stare bene. È un’attitudine.

Data di aggiornamento: 16 Aprile 2018
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