17 Ottobre 2016

Truman. Un vero amico è per sempre

La benedizione e la fatica morale dell’amicizia. Anche il cinema sa impartire miracolosi ordini ai nostri sogni inconfessati, alle menti ferite, al cuore congelato dalla paura della fine.
Dal film "Truman. Un vero amico è per sempre"
Foto di Irene Meritxell

È un’esperienza felice, un dono sempre inatteso, trovare un amico che ti stia al fianco quando il male ti morde nella carne. Il «fianco» è l’immagine della Genesi che individua il punto in cui gli umani, maschio e femmina, si legano in un’alleanza coinvolgente, si aiutano a partire dalle loro diversità e fragilità: la donna è foggiata da una delle costole prese dall’uomo, piombato in un torpore profondo. L’affinità tra i due ha qualcosa di duro e qualcosa di molle; è osso da ossa, e carne dalla carne.

Di «falsi amici» parlano invece quei Salmi biblici, che denunciano chi scappa via con qualche scusa, evita il contatto rischioso, si nasconde dietro la maschera del buon gusto e abbandona il sofferente. I motivi sono sempre quelli: è infetto, straniero, inguardabile, puzza, è troppo per me, temo di fargli altro male, devo badare alla mia famiglia. I malati soffrono questo tradimento, eppure hanno pensieri di pietà: «loro, i sani, sentono odore di morte e si spaventano, non sanno come comportarsi» (si dice nel film). I pazienti capiscono la paura dell’entourage e se ne prendono cura, ribaltando paradossalmente i ruoli assistenziali.

Tomás vola dal Canada (lasciando moglie e figli) a Madrid per far compagnia a Julián, padre divorziato, attore fascinoso e libertino che ha deciso di non sottoporsi a un’ulteriore chemioterapia contro il cancro. Gli scarsi benefici clinici non valgono il disagio degli effetti collaterali, dell’ospedalizzazione, del distacco dalla propria casa. Quando in bioetica si giustifica il rifiuto di una terapia «sproporzionata» si prendono in considerazione non solo i dati biologici, ma i significati personali della decisione. La vita fisica non deve essere prolungata ad ogni costo, ma va vissuta lungo il percorso biografico più carico di senso umano. Il protagonista vuole spendere il tempo, che gli rimane, nel modo più degno e impegnarlo per ciò che conta: il teatro, il figlio lontano.

Julián esprime anche una propensione per l’eutanasia, se i giorni si faranno strazianti. L’amico Tomás, con responsabile fermezza, comprende, ma non giudica, e sfida con la sua silenziosa attenzione una decisione impulsiva, ancora acerba, che la vita metterà alla prova. Nella pellicola Truman, Julián celebra un commiato laico da conoscenti, parenti, sanitari, impresari di pompe funebre (la scelta della bara è tanto imbarazzante quanto ridicola). Non sempre Julián dice la verità, ma è vero, almeno cerca di esser vero, umanamente, nella sua leale disillusione, e pretende d’avere con sé un vecchio amico, uno che offra ricordi, sostegno, qualche soldo, e che pensi assieme a lui ciò che accadrà dopo di lui, senza di lui, ciò che accadrà a tutti, del resto: lasciare incompiuta l’opera, affidarla a mani più grandi delle nostre.

Il cane Truman, un mastino malinconico, affettuoso, dà il titolo al film. Non è facile trovare qualcuno che lo adotti, quando il cane resterà orfano. Ma forse Truman ha già capito tutto: la gravità della malattia, l’irritato presagio della solitudine, la paura di non fare in tempo, le pietose bugie di un guitto affaticato. L’etica dei diritti animali dovrebbe partire dall’afflitta partecipazione, con cui un cane, che non trova più il suo padrone, lo cerca per tutte le vie con grida dolorose (come scriveva Voltaire) e rincasa inquieto e agitato. Gli animali sentono, prima degli umani, gli odori e umori dei corpi. Chiedono ai «padroni» di rispettare la loro felice, pericolosa, innocente vitalità, di dar voce ai loro silenziosi diritti, di portare a parola lo strazio del distacco. Tomás è diventato per Julián, cucciolo senza protezione, un mastino taciturno e devoto.   

Il cinema ci fa compagnia, come un gatto sornione, che si lascia avvicinare e carezzare, ma solo per poco, a distanza, con unghie sospettose. Il cinema miagola dallo schermo un messaggio, che lo spettatore intuisce, incarna nella sua storia e racconta ad altri. Per capire un film, bisogna stringere un patto d’amicizia con il racconto e credere alle promesse feline e imprendibili, elevate dalle immagini in movimento, che ci commuovono e seducono, per il breve tempo di una proiezione.

Truman. Un vero amico è per sempre, Spagna/Argentina 2015, regia di Cesc Gay, con Ricardo Darín e Javier Cámara.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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