04 Dicembre 2018

Trovare senso, trovare libertà

Quando non sappiamo essere testimoni credibili dell’evangelico «vino nuovo», ci rifugiamo in quello vecchio, sotto il quale si nascondono dipendenze da sostanze varie o da gioco.
primo piano di una mano che tiene uno spinello

@ Getty Images

«Nel nostro Paese oramai è consuetudine l’accettazione di uno Stato che veste il grembiule da oste, vendendo e anche svendendo alcol sottobanco, come se fosse del tutto naturale vedere un minore “sbomballato” di beveroni dai mille colori. Uno Stato che veste i panni del biscazziere, di colui che fa giocare d’azzardo ma con voce suadente avverte grandi e piccini di giocare con testa e cognizione, perché potrebbe diventare patologicamente-estremamente-pericoloso. Uno Stato costantemente in balìa dei venti provenienti da sinistra ma pure da destra, i quali vorrebbero aggiungere al male fin qui concesso finanche un po’ di “roba” legalizzata, per farne uso e chiaramente abuso ricreativo. Insomma, siamo un Paese che non intende farsi mancare niente, ma proprio niente. I capitolati economici hanno il potere insindacabile di fare e disfare in tema di salute e sicurezza: sono le entrate che fanno propendere per una tesi o per l’altra, non certo la consapevolezza che la droga fa male, che la droga scientificamente rende fragili, corrode in profondità, disorienta ogni equilibrio, come ha ben delineato la United States Nazional Academy of Sciences. […] C’è in giro una voglia pazza di ricreazione, una sordità ben congeniata a fare spallucce a dipendenze e malattie. Il leit motiv è: ci siamo sempre fatti e allora? A destra e a manca avanza una cultura totalmente sbagliata perché irresponsabile, eppure viene letteralmente spacciata a ogni angolo della mente e del cuore, come una pratica indolore, in netto contrasto con il male che ci circonda, quasi a voler convincere la massa giubilante che occorre liberare la droga, non certamente liberarci dalla droga. […]»

Lettera firmata

Sono figlio di un alpino verace. Ma non mi è mai capitato neppure una volta di vedere mio padre ubriaco. Allegro, sì. Eppure, né io né mio fratello beviamo alcolici, se non in occasioni sporadicissime. Certo, è la mia particolarissima esperienza. Così come invece conosco,  purtroppo, parecchie situazioni individuali e familiari dove l’alcol ha contribuito pesantemente a devastare affetti ed esistenze. Non voglio relativizzare nulla né tanto meno abbassare la nostra soglia di attenzione, anzi!

Il nostro amico lettore è stato più che esplicito sulla dipendenza da alcol e da qualsiasi altra droga. Dei cui effetti deleteri – deleteri e basta! – su corpo e mente, in modo particolare dei più giovani, e perciò sui progetti di vita di queste persone, sulla loro realizzazione umana, il lavoro, la vita in famiglia, più nessuno, a cominciare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nemmeno scientificamente ha dubbi in proposito.

Mi domando, però, quale sia il contesto, relazionale e valoriale, che non solo favorisce ma addirittura incita ad aspettarsi da alcol e altre sostanze la forza per continuare a vivere, a sentirsi grandi o anche molto più semplicemente accettati e inclusi, la spinta giusta per affrontare i propri compiti evolutivi o professionali.

A che senso di responsabilità, verso se stessi e verso gli altri, e verso i compiti che la vita ci dà, ci siamo educati? Che posto hanno limiti e difficoltà in ciò che viviamo? Che idea di uomo e donna ci portiamo dentro? E, ahimè, trasmettiamo ai più giovani...

Criminalizzare alcol e droga può rivelarsi persino un alibi per sottrarci alle nostre responsabilità educative. E, del resto, il mercato criminale di queste sostanze ha saputo reinventarsi continuamente, cambiando volto e nome. Ma rispondendo sempre allo stesso vuoto umano e spirituale. Se non sapremo essere testimoni credibili dell’evangelico «vino nuovo», ci si accontenterà di spacciare quello vecchio…

 

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Data di aggiornamento: 04 Dicembre 2018
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