08 Settembre 2019

Terra e sangue

Nel 1943 si consuma nelle terre «irredente» un vero e proprio massacro ai danni della popolazione di origine italiana. «Red Land - Rosso Istria» racconta quei mesi di violenza.
Una scena del film «Red Land – Rosso Istria» diretto da Hernando Bruno.
Una scena del film «Red Land – Rosso Istria» diretto da Hernando Bruno.

«Io amo questa terra… ha lo stesso colore del sangue che scorre nelle nostre vene». «Una terra piena di vita e di speranza». Sono parole di Norma Cossetto, giovane vittima della barbarie perpetrata in Istria sul finire del secondo conflitto mondiale. Il rosso mattone è il colore della bauxite, una roccia sedimentaria da cui si estrae l’alluminio e di cui è ricca quella regione. Il colore del sangue è elemento ricorrente nel film di Hernando Bruno «Red Land (terra rossa) – Rosso Istria». C’è il rosso dei paesaggi e dei vestiti, delle ferite e degli scantinati, delle stellette militari comuniste, dei fazzoletti sbandierati da contadini spaventati o cinici.

La terra istriana s’imporpora di violenza durante il primo massacro etnico perpetrato nei confusi mesi fra il 25 luglio del 1943, quando Mussolini viene deposto e arrestato, e le prime settimane dopo l’8 settembre 1943. L’armistizio separato tra governo italiano e angloamericani, a causa della fuga di Badoglio e del re d’Italia da Roma, lascia la nazione in balia di se stessa. I territori italiani sul confine orientale, Dalmazia, Istria e Trieste, soffrono particolarmente per questo vuoto di potere, cui consegue un pericoloso disorientamento. Non si sa con certezza chi siano i nemici, chi gli autentici alleati, quali garanzie offra il nuovo patto.

Rosso è l’odio che colpisce la popolazione istro-giuliano-dalmata di origine italiana, soprattutto per l’arrivo dei partigiani di Tito, orgogliosi delle loro bandiere comuniste e carichi di ferocia soprattutto verso le famiglie legate al regime fascista. Norma Cossetto cade vittima della prima drammatica serie di stragi. Stava per laurearsi all’Università di Padova, era figlia del podestà di Visinada, venne torturata sotto interrogatorio, violentata e infoibata ancora viva.

Che cosa accadde? Come spiegare un tale accanimento? Dove rintracciarne i fattori? La storiografia ha fatto lentamente luce sul drammatico intreccio di antichi rancori etnici, sulle conseguenze nefaste delle leggi razziali a Trieste nel 1938, sui guasti di una forzata italianizzazione imposta dal fascismo in territori abitati da una maggioranza slava, sulla presunzione di risolvere grossolanamente – con la forza delle armi – e di stabilizzare rapidamente le annose tensioni legate alla compresenza di diverse tradizioni politico-culturali.

Si ricordi al proposito l’aggressione italo-tedesca alla Iugoslavia, nel 1941. Lo stesso film, in effetti, suggerisce che una costruttiva tolleranza civile sarebbe stata possibile, ma fu stoltamente e cruentemente soffocata, proprio quando la caduta della dittatura poteva aprire una prospettiva democratica di questo genere.  

Oltre al colore rosso, un’altra figura eticamente simbolica è rappresentata nel film dalle foibe. Le foibe (dal latino fovea, fossa) sono depressioni carsiche generate dalla confluenza di cavità minori, dette doline. Sono erosioni e spaccature di una terra che nasconde anfratti tortuosi e che sembra pronta a inghiottire ciò che non si può, che non si vuole vedere. Nel nostro caso, si tratta di corpi. Corpi trucidati, stuprati, torturati, che, insieme a corpi ancora vivi, allineati e legati fra loro con fili di ferro, venivano precipitati nel vuoto della foiba. Un buco oscuro, un cuore di tenebra ingurgitava carni e anime, azzerava le diversità e le seppelliva nell’oblio.

Ci vollero anni di elaborazione del lutto e una coraggiosa ricostruzione degli eventi per superare pregiudizi partitico-ideologici favorevoli al comunismo titino, il quale aveva ufficialmente negato fossero accaduti arresti e confische di beni a persone diverse da fascisti di primo piano e criminali di guerra. Lasciamo agli storici di professione il giudizio sulla verosimiglianza analitica della ricostruzione filmica. Resta comunque il monito a non dimenticare, a non cadere in una complice indifferenza.

Contro nuovi selvaggi nazionalismi, contro il conformismo delle letture faziose, contro la paura irrazionale della diversità politica, religiosa, etnica, occorre una narrazione leale e coraggiosa, un racconto corale di denuncia civile, un dibattito pluralistico che lasci voce alle minoranze. Il Presidente Ciampi conferì nel 2005 a Norma Cossetto (1920-1943) una medaglia d’oro al Merito civile quale «luminosa testimonianza di coraggio e amor patrio». «Istria Rossa» era il titolo della tesi di laurea, che Norma stava compilando.

 

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Data di aggiornamento: 08 Settembre 2019
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