«Solo l’amore crea». Parola di Kolbe

Il suo martirio si compì ad Auschwitz il 14 agosto 1941. Fu il vertice più alto di una vita nel segno dell’amore. Ma chi fu davvero padre Kolbe? Risponde padre Raffaele Di Muro, direttore della Cattedra Kolbiana a Roma.
14 Agosto 2016 | di

Francescano conventuale, missionario, giornalista, fondatore di cittadelle e di riviste, di un’associazione ancor oggi attiva e diffusa in tutto il mondo come la Milizia dell’Immacolata. E poi santo e martire, il primo «martire della carità» al mondo. Sono davvero dieci le vite che san Massimiliano Kolbe riuscì a vivere in una sola, conclusasi ad appena 47 anni. Un’esistenza che egli visse «affidandosi» totalmente al Padre, come confermano numerosissime testimonianze, e che forse proprio per questo portò frutti così buoni e abbondanti. Ma chi fu davvero padre Kolbe di cui quest’anno ricorre il 75º anniversario del martirio? Lo abbiamo chiesto a padre Raffaele Di Muro, direttore della Cattedra Kolbiana presso il Seraphicum, Pontificia facoltà teologica San Bonaventura, a Roma, e presidente della Milizia dell’Immacolata internazionale.

Msa. Padre Di Muro, lei è appena rientrato da un pellegrinaggio in Polonia, sui luoghi di Kolbe. Che cosa dicono questi luoghi a un «esperto» di san Massimiliano come lei?Di Muro. Questi luoghi suscitano un fascino particolare ogni volta che si visitano. Essi indicano un cammino, una vocazione, una testimonianza. Ripercorrendo i passi di Kolbe, si coglie soprattutto la sua determinazione nel voler accogliere in pieno la chiamata di Dio e nel realizzarla offrendo il meglio di sé. In particolare, ciò che resta nel cuore dopo queste visite è la contemplazione dell’opera che Dio ha realizzato nel martire polacco, che ha molto da insegnare anche al credente di oggi.

In un’intervista di qualche anno fa, rilasciata all’agenzia di stampa Zenit, lei affermava che san Massimiliano è proprio un santo universale: patrono dei giornalisti, delle famiglie, dei carcerati, del movimento per la vita, dei tossicodipendenti, di coloro che soffrono di disordini alimentari. Non è un caso se Massimiliano è il patrono di molte categorie di persone. Nei suoi articoli, apparsi sulle riviste da lui fondate, si rivolge agli uomini del suo tempo, offrendo le sue meditazioni a persone di ogni estrazione, di ogni mestiere e di ogni età. Anche ad Auschwitz, si prende cura di tutti i compagni di prigionia senza distinzione alcuna. Per queste ragioni il suo messaggio è ancora oggi universalmente diffuso. Egli è il santo con una finestra aperta sul mondo, che parla al mondo.

Qual è allora la specificità di un santo come padre Kolbe?L’amore! Questo è l’elemento dominante della spiritualità di Massimiliano. Per giungere al gesto eroico di Auschwitz, del dono della sua vita al posto di quella di un padre di famiglia, egli compie un progressivo percorso di carità che lo porta ad amare in modo sempre più totalizzante il Signore e i fratelli. Dal fervore del suo cuore nascono meravigliose imprese apostoliche. 

La Giornata mondiale della gioventù quest’anno si tiene in Polonia. Molti giovani, immaginiamo, conosceranno così più da vicino la figura di san Kolbe. Che cosa dice oggi un testimone come lui alle giovani generazioni? I giovani di oggi chiedono credibilità e Massimiliano è per loro, in molte parti del mondo, un eroe della fede, che suscita ammirazione ed emulazione. I nostri ragazzi vivono sovente in un contesto carente nell’amore e hanno bisogno di sapere che è possibile amare come Gesù chiede. In tal senso, Kolbe è per loro uno splendido modello.

Quali sono state, a suo parere, le tappe fondamentali del cammino religioso di san Massimiliano? Massimiliano Kolbe sperimenta molti momenti decisivi nel suo percorso. Tuttavia, c’è una situazione che, a mio avviso, gli permette una grande maturazione nella fede: si tratta del suo ricovero in clinica in due particolari periodi della sua vita. Il santo soffre di un grave problema ai polmoni: la tubercolosi, che mette a repentaglio la sua stessa vita. Dall’agosto 1920 al maggio 1921 e dal settembre 1926 all’aprile 1927 è ricoverato nella clinica di Zakopane. L’affrontare con il massimo abbandono in Dio la malattia, l’inattività, la prospettiva di una morte prematura, gli consente un salto nella fede che sarà la base del suo successivo percorso missionario.

È vero che a un tratto ebbe dei ripensamenti, ma che la madre lo aiutò a ritrovare le motivazioni profonde della sua vocazione religiosa? Massimiliano, come tutta la sua famiglia, «sentiva» in modo molto forte l’amore per la patria. Basti pensare che il fratello maggiore, Francesco, con lui entrato in seminario a Leopoli, lascia i francescani per arruolarsi. Il santo comprende che il progetto di Dio è un altro e vi si dedica con tutto se stesso. Il ruolo della madre è fondamentale nel discernimento del martire polacco.

A un certo punto del suo cammino, san Massimiliano sviluppò una profonda devozione per la Madre di Dio, che lo portò a fondare, nel 1917, la Milizia dell’Immacolata, una realtà ancora viva e diffusa nel mondo, di cui lei è assistente internazionale. La Milizia dell’Immacolata (M.I.) è un movimento voluto da Kolbe per sostenere la Chiesa di ogni tempo, perseguitata e avversata da più parti. Preghiera, offerta, apostolato e affidamento all’Immacolata rappresentano il cuore dell’associazione, oggi diffusa in tutto il mondo proprio grazie al messaggio profetico di san Massimiliano. La finalità per cui è nata la Milizia dell’Immacolata è molto attuale, ecco perché oggi questo movimento è presente ovunque sulla Terra. Infatti, gran parte del mio lavoro è rappresentato dal visitare le sedi nazionali, e sono sempre in viaggio…

Massimiliano Kolbe è noto anche per la sua importante opera nel campo della comunicazione. Come giunse a questo impegno e che cosa realizzò di concreto? San Massimiliano riesce a «leggere» perfettamente i segni dei tempi. Si rende conto che per sostenere l’attività apostolica della Chiesa è necessario fare ricorso ai mezzi di comunicazione più evoluti del tempo. Egli usa in modo preponderante la stampa per diffondere il Vangelo e l’amore verso l’Immacolata. Non si ferma qui, perché evangelizza anche attraverso il «nascente» mezzo radiofonico. In concreto, ha fondato molte riviste in Polonia e in Giappone e, in quei medesimi luoghi, due Città dell’Immacolata, grandi strutture conventuali che si dedicavano e si dedicano tuttora a una missione di avanguardia. La Città dell’Immacolata polacca si sviluppò al punto da raggiungere il numero di oltre settecento frati. 

E poi il vertice più alto, quel martirio che l’allora papa Giovanni Paolo II sancì il 10 ottobre 1982. Un riconoscimento che all’epoca aprì qualche questione. Che cosa avvenne? San Massimiliano è il primo martire della carità. Egli dona la vita per amore. La Chiesa era abituata ai martiri che donavano la vita per la fede. Infatti, il processo di canonizzazione di Kolbe è quello tipico dei confessori della fede e non dei martiri. Fu san Giovanni Paolo II a introdurre questo nuovo genere di martirio. Si trattò di un evento senza precedenti, che vide protagonista il grande Papa polacco che indicò una nuova tipologia di martirio per il francescano suo connazionale.

Il 14 agosto ricorrono i settantacinque anni dal martirio di Massimiliano Kolbe. Come mai padre Kolbe era stato internato ad Auschwitz? Il regime nazista odiava in modo particolare i sacerdoti e questa è una prima importante causa. Egli, inoltre, pubblicava e diffondeva molte riviste che, pur avendo un contenuto non politico, mettevano in crisi i nazisti perché inducevano la gente a riflettere e ad amare. Fermare Kolbe significava fermare l’attività editoriale da lui promossa, fermare un «fiume» d’amore che scorreva tra le colonne dei giornali.

Che cosa ci insegna oggi quel suo dare la vita per amore in un lager nazista? Quel suo dire «Sono un prete cattolico, prendete me al posto di uno dei condannati»? Kolbe insegna che tutti possiamo giungere a quei livelli d’amore. Ciò accade solo se la nostra capacità di amare è «allenata» ogni giorno da piccoli gesti di carità che, passo dopo passo, ci preparano a essere autentici miracoli d’amore. «Solo l’amore crea»: è il motto-eredità di Massimiliano.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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1 comments

1 Febbraio 2019
Solo l'amore crea sono quattro semplici parole che racchiudono il mistero dell'intera creazione rivelato da Cristo e fatto proprio da coloro, come padre Kolbe, che avevano lo Spirito di Cristo. Queste quattro parole sono la vetta più alta della filosofia e la chiave per entrare nella conoscenza.
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di Dolores

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