Se gli antibiotici sono inefficaci?

L’uso massiccio o non appropriato di antibiotici in medicina e zootecnia ha prodotto una diffusa resistenza ai farmaci da parte di molti batteri. Previsti 10 milioni di morti all’anno nel mondo se non si troveranno nuove cure.
14 Novembre 2018 | di

Ci eravamo illusi di averli debellati per sempre. E, invece, loro sono ritornati alla carica. Più forti e aggressivi di prima. Sono i batteri, microrganismi unicellulari che possono incidere in modo positivo o negativo (causando cioè delle patologie) sul nostro corpo. A differenza dei loro «cugini pacifici» che popolano stabilmente anche il nostro organismo, i batteri patogeni non fanno sconti a nessuno. Ed è per combattere questi ultimi – quando il nostro sistema immunitario non è in grado di sconfiggere le infezioni da essi provocate – che entrano in gioco gli antibiotici.

Eppure ci sono batteri dinanzi ai quali perfino gli antibiotici da «cassaforte» ovvero di «ultima linea» appaiono come un’arma talvolta spuntata. Tanto che oggi i batteri più temibili costituiscono un incubo per medici e operatori sanitari. Gli addetti ai lavori li considerano ormai una gang fuori controllo, battezzata con l’acronimo di ESKAPE che identifica sei microrganismi subdoli e micidiali: Enterococcus, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter. E non sono gli unici. Infatti «qualunque specie batterica può presentare resistenza», avverte Annalisa Pantosti, Direttore del Reparto di Antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore della Sanità. Non a caso vengono definiti con l’appellativo assai poco lusinghiero (per noi) di «super batteri».

L’uso o l’abuso di antibiotici, soprattutto ad ampio spettro – anche senza necessità –, il loro errato o discontinuo utilizzo e, talvolta, il loro impiego come automedicazione fuori dal controllo medico, hanno fatto proliferare ceppi di batteri che si sono adattati, e sono diventati resistenti ai farmaci.

Sotto accusa, in particolare, la pessima ma diffusa abitudine di assumere antibiotici per contrastare infezioni virali come l’influenza o i raffreddori stagionali. È bene ribadirlo: gli antibiotici non agiscono contro i virus. «L’uso di antibiotici che si fa in Italia è superiore alla media europea – ricorda Pantosti –, e alcune regioni del sud utilizzano il doppio degli antibiotici usati da alcune regioni del nord».

Tuttavia gli antibiotici non sono impiegati nel nostro Paese meno correttamente di quanto non avvenga nel resto d’Europa. «Alcuni batteri, come gli pneumococchi resistenti alla penicillina, sono raramente isolati in Italia mentre costituiscono un grave problema sanitario in Spagna, in Portogallo e in Francia – ricorda Piero Marone, Direttore UOC Microbiologia e Virologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia –. Non solo. La mortalità per polmonite acquisita in comunità è molto più elevata in Inghilterra che non in Italia dove, evidentemente, questa patologia viene curata meglio e più tempestivamente».

A peggiorare il quadro ha contribuito anche l’utilizzo incontrollato di antibiotici negli allevamenti di animali e pesci destinati all’alimentazione umana. A tal proposito, «il Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza (Pncar) del Ministero della Salute contempla una serie di interventi volti alla riduzione del consumo di antibiotici in veterinaria», osserva Marone. L’Istituto Superiore della Sanità ha collaborato alla stesura del Pncar e alla definizione delle attività che possono proteggere pazienti e cittadini dall’antibiotico-resistenza.

«Il Piano – osserva Pantosti – prevede azioni che riguardano tutti gli ambiti che possono contribuire a monitorare il fenomeno: dalla sorveglianza al controllo delle infezioni correlate all’assistenza, al buon uso di antibiotici in medicina, alla formazione e alla comunicazione. Tutte azioni che devono essere declinate sia a livello nazionale che regionale e locale».

La globalizzazione dei batteri

A darci la misura dell’allarmante fenomeno della resistenza dei batteri ai farmaci, sono i numeri. Glass, il sistema globale di sorveglianza antimicrobica dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha già censito la resistenza agli antibiotici in 500 mila persone, con sospette infezioni batteriche, in 22 Paesi del mondo. Alla «banda ESKAPE» si sono aggregati anche la Salmonella che spesso si contrae attraverso gli alimenti, e il Mycobacterium tuberculosis multiresistente. E non sono i soli. «Già nel 2016, in America, un ceppo di Escherichia coli è risultato resistente a tutti gli antibiotici disponibili – rammenta Massimo Crapis, Responsabile dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria 5 di Pordenone –. Nella nostra realtà ci siamo andati molto vicini».

L’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha stimato che ogni anno, nel vecchio continente, 25 mila persone muoiono a causa di infezioni provocate da germi resistenti. Solo in Italia le vittime sono 7 mila ogni anno. A sancire lo spettro di una minaccia globale sono anche i dati del CDC di Atlanta, negli Stati Uniti. I Centers for Disease Control and Prevention hanno accertato che i batteri resistenti provocano oltre 23 mila morti ogni anno solo nel territorio federale. In Thailandia le vittime salgono a 38 mila. In India oltre 58 mila bambini muoiono ogni anno per infezioni dovute a batteri resistenti, spesso trasmessi dalle loro madri. Nel mondo, si contano circa 700 mila decessi all’anno causati da infezioni di batteri resistenti. È inquietante l’aumento della resistenza agli antibiotici di due specie di batteri già sotto sorveglianza come Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae, responsabili di infezioni urinarie, sepsi e altre patologie che si possono contrarre anche in ambienti ospedalieri.

L’efficace arma dell’igiene

Secondo Esac-Net, la rete europea di sorveglianza sul consumo di antibiotici, che diffonde i dati dei 28 Paesi dell’Unione europea oltre a Islanda e Norvegia, l’uso di questi farmaci all’interno degli ospedali rappresenta il fattore chiave della diffusione di batteri multiresistenti, responsabili dell’insorgenza di infezioni correlate all’assistenza. «Questi ceppi – afferma Marone – si sono diffusi in Italia per la scarsa attenzione alle misure di controllo delle infezioni: igiene delle mani, disinfezione dei dispositivi medici, isolamento dei pazienti, mentre è stato dimostrato che, attenendosi ad un uso corretto degli antibiotici, e utilizzando stringenti misure di controllo delle infezioni, è possibile evitare la comparsa e quindi controllare la diffusione di questi agenti patogeni».

«Dal punto di vista epidemiologico – aggiunge Crapis – il batterio ancora più diffuso sia in ambito ospedaliero che extra-ospedaliero è lo Staphylococcus aureus». Perché i batteri si trovano a loro agio in queste strutture? «Negli ospedali e nelle case di riposo ci sono pazienti più fragili, sottoposti a importanti interventi chirurgici o a chemioterapia, oppure anziani con malattie croniche – rileva Pantosti –. L’uso di antibiotici è massimo. Due sono i pilastri su cui si fonda il controllo dell’antibiotico-resistenza nelle strutture sanitarie: impedire la trasmissione dei batteri resistenti da paziente a paziente, mediante protocolli di controllo delle infezioni e di igiene ambientale, e migliorare la prescrizione di antibiotici con programmi di Antimicrobial stewardship».

Un altro concetto connesso con quello dell’Antimicrobial stewardship è «quello dell’Infection control – sottolinea Crapis – ovvero la decisione che viene presa, sempre più frequentemente, di isolare “funzionalmente” il paziente dal resto del contesto ospedaliero per ridurre la probabilità di diffondere i batteri di cui è portatore tramite personale sanitario, oggetti o strumenti medici».

L’Oms prevede che, agli attuali tassi di incremento della resistenza agli antibiotici, da qui al 2050 i «super batteri» saranno responsabili di almeno 10 milioni di decessi ogni anno diventando così la prima causa di morte al mondo. Uno scenario da incubo che rievoca lo spettro delle pestilenze del passato, responsabili di pandemie con 200 milioni di morti.

«Purtroppo – lamenta Marone – le multinazionali del farmaco da anni non stanno investendo sulla ricerca di nuovi antimicrobici poiché ritengono più redditizi altri ambiti come le neuroscienze e i farmaci oncologici». Un’opinione condivisa anche da Crapis: «L’attenzione delle aziende farmaceutiche si è molto affievolita». Eppure «oggi c’è bisogno di antibiotici “avanzati” – avverte Pantosti – che, ad esempio, contengono, in associazione, l’antibiotico e una molecola che inibisce i meccanismi di resistenza dei batteri». È necessario che le case farmaceutiche investano in questo campo. Tuttavia servono anche incentivi statali «perché c’è sempre il rischio che si sviluppino batteri resistenti, e che quindi gli antibiotici non servano più».

Data di aggiornamento: 14 Novembre 2018
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