Processioni in cattedra

Non solo monumenti o paesaggi. Tra le bellezze da preservare l’Unesco ha incluso anche quattro popolari processioni italiane: la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola, i Candelieri di Sassari e la Varia di Palmi.
21 Febbraio 2014 | di

Non solo le pietre e i paesaggi, ma anche le tradizioni popolari, i patrimoni immateriali, sono considerati a pieno titolo beni da salvaguardare e da consegnare alle future generazioni. Questa affermazione dell’Unesco, l’agenzia dell’Onu che si occupa di preservare le bellezze di tutto il mondo, sancita da una Convenzione internazionale nel 2003, dallo scorso dicembre ha in Italia dei precisi riferimenti geografici. La Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola, i Candelieri di Sassari e la Varia di Palmi, sono le quattro popolarissime processioni di ispirazione religiosa dichiarate patrimonio intangibile dell’Unesco. Si tratta di cerimonie nel corso delle quali i fedeli portano a spalla enormi «macchine» celebrative e vestono costumi tradizionali. Il riconoscimento, attribuito il 4 dicembre durante l’ottavo Comitato intergovernativo dell’Unesco riunito a Baku, in Azerbaijan, premia la collaborazione tra le città coinvolte, che si sono messe in rete e si sono candidate.

Concretamente il riconoscimento, atteso da anni, «significa molto per le città, soprattutto in termini di valore simbolico», spiega Katia Ballacchino, antropologa, che ha fatto diverse pubblicazioni sulla Festa dei Gigli di Nola e svolge ricerche, con università e istituzioni, su tematiche come festa, patrimonio immateriale, politiche Unesco, beni culturali, etnografia visiva, migrazione, mediazione culturale e diritti umani. Il riconoscimento, dice, è «un sigillo che fa assumere una dimensione universale a una festa gestita e celebrata da sempre a livello locale». Per valorizzare le relazioni tra popoli e il dialogo tra diversità culturali, infatti, l’Unesco da qualche anno si impegna «nella valorizzazione di beni immateriali e dunque di quei valori celebrati e ritualizzati da persone che si riconoscono in una pratica, in un rito, in una lingua, in una tradizione che caratterizza la loro identità comunitaria». È un’idea più ampia di cultura, che riconosce il valore di luoghi e minoranze etniche che non sono solo caratterizzati da una storia legata a opere d’arte e monumenti esclusivamente di tipo occidentale. Il riconoscimento non comporta particolari entrate economiche, ma «accende i riflettori a livello internazionale su di un bene che la stessa comunità dovrà tutelare e salvaguardare da processi erosivi di dispersione o aggressione esterna, così come si fa con i monumenti materiali», dice ancora Ballacchino.

Viterbo, Santa Rosa
Nelle quattro città premiate Curia e Comune hanno fatto sentire il loro plauso per il riconoscimento: a Viterbo, al duomo, c’è stata l’esposizione straordinaria del cuore di santa Rosa, mentre al Palazzo papale sono stati proiettati video storici e raccontati dalla voce dei protagonisti, i «dietro le quinte» del lungo percorso verso il riconoscimento. Sullo schermo sono passate le immagini suggestive della «macchina», che consiste in una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata con una infrastruttura interna in metallo e altri materiali, alta circa trenta metri e pesante cinque tonnellate, che la sera del 3 settembre viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di uomini, i «facchini», lungo un percorso di un chilometro, tra viuzze e piazze del centro storico. Le origini della «macchina» risalgono alla seconda metà del 1200, quando si volle ricordare la traslazione del corpo di santa Rosa trasportando un’immagine della santa su un baldacchino, il quale, nei secoli, ha assunto dimensioni sempre più grandi, fino alle attuali.

Sassari, Festa dei Candelieri
A Sassari, il 14 agosto, si tiene la Festa dei Candelieri, ceri in legno alti dieci metri portati dagli affiliati ai Gremi, le antiche corporazioni, che sfilano in costumi medievali, accompagnati da pifferi e tamburi. Alla fine, davanti a Santa Maria in Betlemme, il sindaco aspetta la folla e questa, a suon di fischi e applausi, esprime il suo giudizio sull’operato del primo cittadino. «Con tutta la città, e credo con l’intera isola, sono entusiasta per il riconoscimento, che appartiene a tutta la storia dei Candelieri e ai loro protagonisti, i Gremi, e a tutta la città di Sassari» dichiara il vescovo Paolo Atzei. Il presule sottolinea, inoltre, che il riconoscimento «non permette a nessuno, tantomeno alle autorità civili e religiose di Sassari, di strattonare il patrimonio Candelieri da una parte e dall’altra, perché è ormai un bene culturale dell’umanità, connotato coessenzialmente e dal fatto sociale e da quello religioso».

Nola (NA), Festa dei Gigli
Un’idea su cui ritorna anche il vescovo di Nola, monsignor Beniamino Depalma. In un messaggio al sindaco dichiara che la Festa dei Gigli è «patrimonio culturale dell’umanità, col suo stile popolare e con le sue tradizioni, con le sue motivazioni religiose e con il grande patrimonio di umanità che ne fanno un evento unico. A noi la grande responsabilità di salvaguardare lo spirito, la forma e i contenuti. Sono certo che l’aiuto e la responsabilità di tutti e di ciascuno consegnerà a coloro che ci succederanno il patrimonio di una Festa bella e che non ha mai fine». La festa si tiene la domenica dopo il 22 giugno, in onore di san Paolino. Vescovo della cittadina in provincia di Napoli, dopo aver dato tutti i suoi beni per riscattare alcuni nolani fatti schiavi dai barbari, Paolino offrì se stesso in cambio dell’unico figlio di una vedova. Deportato in Africa, fece poi ritorno nella sua terra, dove la gente lo accolse in processione, offrendo fiori e ceri, questi ultimi divenuti nel tempo grandi strutture di legno (cilii in dialetto, da cui il nome «gigli»). «È nella storia di san Paolino il nucleo originale e religioso della festa. Una testimonianza molto attuale che, anche attraverso i suoi scritti, invita a vivere la condivisione e la solidarietà», conclude il vescovo Depalma.

Palmi (RC), Maria della Sacra Lettera
Imponente anche la «macchina» allestita in onore di Maria Santissima della Sacra Lettera, patrona e protettrice della città di Palmi, in Calabria, per la festa che si celebra l’ultima domenica di agosto. Il carro sacro, la Varia, che rappresenta l’universo e l’assunzione in cielo della Vergine Maria, è alto oltre sedici metri. A portarlo sono duecento ’mbuttaturi che trascinano i figuranti correndo tra la folla che inonda le strade del centro e ripete in dialetto alcuni detti tradizionali.

Ciò che accomuna le quattro feste sono le grandi «macchine» cerimoniali portate a spalla da gruppi di uomini, aspetto che in Italia si ritrova in molte altre feste popolari tradizionali. Di certo, le quattro comunità premiate sono accomunate «da una passione che contraddistingue le loro pratiche quotidiane, la loro devozione popolare e la loro fede religiosa e il loro riconoscimento identitario nella pratica festiva. Si pensi, per esempio, alla pratica del trasporto a spalla gestito a livello maschile e collettivo, alla musica usata nel rito, alla devozione ai rispettivi patroni o copatroni dedicatari dei rituali» spiega Ballacchino.

Ma non mancano le differenze. L’antropologa sottolinea, per esempio, che ciascuna città costruisce una o più «macchine» festive create per l’occasione o conservate nel tempo nella loro unica realizzazione antica; la grandezza delle «macchine» cerimoniali varia da festa a festa; lo stesso modo di portare a spalla è diverso da città a città; diverse la durata della festa e la sua ciclicità negli anni, le modalità del trasporto della «macchina», il numero e le caratteristiche dei portatori, la gestione del rito. «Anche il senso di competizione tra gruppi è molto diverso. Perché quando si porta a spalla una sola macchina il pubblico diventa la città, ma nel momento in cui le macchine da trasportare diventano più di una, si attiva un fisiologico processo di competizione che fa mutare la festa e che spesso la rende viva grazie alla competizione tra gruppi che si misurano tra loro e vogliono, di anno in anno, fare meglio dell’altro».

Più in generale, da un punto di vista antropologico, la convenzione sul Patrimonio immateriale dell’Umanità che l’Unesco ha prodotto nel 2003, e che l’Italia ha ratificato nel 2007, rappresenta «un processo interessantissimo che può attivare un risveglio delle coscienze collettive delle comunità, che rimangono le uniche proprietarie e responsabili del bene e che, quindi, nell’ottica di un’azione dal basso, riacquistano valore contro chi, dall’alto, vuole gestire territori e pratiche di passione collettiva per interessi di altra natura. È anche vero che, rispetto a dei monumenti, è più complesso e problematico gestire, valorizzare e tutelare a livello legislativo beni immateriali». La grande sfida che le città della rete dovranno cogliere, secondo Ballacchino «sarà proprio quella di approfittare di questo momento per attivare quelle buone pratiche locali che solo una comunità che ama la propria festa e che la vive in maniera così totalizzante può riconoscere come utili a una patrimonializzazione del proprio nucleo festivo, cioè dei propri valori religiosi, culturali e sociali». 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017