Prima domenica d’Avvento al confine tra Messico e Stati Uniti
Tijuana, Messico. Un profugo dell’Honduras attende di conoscere il suo destino al riparo della capanna improvvisata, all’interno del Benito Juarez Sport Unit. È una delle migliaia di persone della grande carovana che nell’ottobre scorso, grazie a un tam tam sui social, è partita da San Pedro Sula per raggiungere gli Stati Uniti. Alle spalle miseria, fame, siccità, violenza delle bande criminali, di fronte il miraggio di una vita migliore.
Un’emigrazione comunitaria, che è un grido di disperazione e al contempo di ribellione, esposta orgogliosamente agli occhi del mondo. Sul piatto, l’unico bene rimasto: la vita. Di fronte il muro e la paura degli altri. E un esercito a difesa. Hanno camminato per un mese intero, attraversato l’America centrale e oggi che sfiorano la terra promessa, a un pugno di chilometri da San Diego (US), il sogno è sempre più distante. Un quotidiano salvadoregno ha scritto: «più che un’opportunità, si aspettano un miracolo».