Natalità, ci vuole coraggio

Il Bel Paese senza la bellezza dei bambini rischia di andare a gambe all’aria. Serve il coraggio della politica, per seri interventi di sostegno alla famiglia. Serve il coraggio delle famiglie, chiamate a realizzare il sogno di Dio.
05 Febbraio 2017 | di

«Il sogno di Dio continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia». È il cuore di papa Francesco a parlare, all’ultimo Incontro mondiale delle famiglie di Philadelphia di settembre 2015. Parole rilanciate in questo inizio 2017 dai vescovi italiani per dare spessore alla Giornata per la vita – la numero 39 – che si celebra la prima domenica di febbraio.

La scelta è affatto casuale, perché sembrerebbe la cosa più naturale del mondo schierarsi dalla parte della vita e comportarsi di conseguenza, ma non è così. Serve coraggio per uscire dalla liquidità e dall’iperflessibilità efficiente nella quale soprattutto i giovani sono costretti. Serve coraggio per puntare su quel «per sempre» inscritto nell’animo umano, ieri come oggi (lo dimostra da ultimo il Rapporto Giovani 2016 dell’Istituto Toniolo: 8 italiani su 10 tra i 18 e i 33 anni desiderano una famiglia con almeno due bambini).

«Per sempre» è l’orizzonte della consacrazione, del matrimonio, dell’essere mamma e papà. Decidere di avere un figlio è tutto meno che effimero: è un’assunzione di impegno a lungo termine, generatività oltre l’immediatezza. Ma giocarsi tutto sul piano solo esistenziale sarebbe riduttivo. Perché il coraggio che si chiede ai giovani dovremmo metterlo sul tavolo prima di tutto noi adulti e anziani, con scelte politiche e sociali a sostegno dei desideri di matrimonio, maternità e paternità. Non si tratta «solo» di assecondare legittime aspirazioni private, tutt’altro: ne va della nostra società, economia, benessere.

 

L’inverno demografico

Siamo in febbraio, mese che quasi ogni anno fa registrare i freddi più rigidi; ma è un’altra la statistica «da brivido» che fa sembrare la Giornata per la vita una provocazione, o un’urgenza impellente, a seconda dei punti di vista. I dati sono tutti concordi: siamo in pieno inverno demografico, nel nostro Paese nascono sempre meno bambini. Succede almeno dagli anni Settanta, quindi può sembrare un allarme già sentito, ma la verità è che dal 2008 il crollo si è fatto via via più consistente. Non serve un genio della matematica per comprendere come servirebbero due figli ogni due genitori per mantenere a livello la bilancia demografica. Considerando i tanti single e le coppie senza figli, in realtà il ricambio generazionale verrebbe garantito se ci fossero più famiglie con terzogeniti. Tutto da leggere al condizionale, visto che nel nostro Paese la media è di 1,35 figli per donna (ma scorporando l’1,94 delle cittadine straniere residenti, alle italiane rimane un magrissimo 1,27)... Mettiamoci pure il crescente numero di giovani che migrano all’estero e l’alta mortalità di casa nostra (60 mila italiani scomparsi in più nel 2015 rispetto al 2014!), di questo passo a condizioni invariate in cinquant’anni l’Italia potrebbe passare dagli attuali 60 milioni di abitanti a 40. Per di più vecchi e impoveriti, dal momento che sempre meno saranno i giovani e gli adulti in età lavorativa a sostenere pensioni e attività.

Ma torniamo alle culle. Mai, in 150 anni di storia italiana, eravamo scesi così in basso! Nemmeno durante le guerre mondiali, per dire. Per il pareggio demografico gli esperti dicono che sarebbero necessarie 750 mila culle piene l’anno. Noi invece abbiamo sfondato la soglia psicologica di 500 mila, agguantata a fatica nel 2014 (503 mila) e abbandonata nel 2015, quando si sono registrate 485.780 nascite. Una flessione che non accenna a rallentare nemmeno nel 2016: fino ad agosto compreso, i bambini iscritti all’anagrafe sono stati 306 mila (ultimi dati ufficiali), «il che ci fa presumere che si raggiunga quota 467 mila considerando l’intero anno. Un nuovo tetto minimo». La stima è di Gian Carlo Blangiardo, ordinario di demografia all’Università di Milano-Bicocca, al quale abbiamo chiesto di commentare la situazione. «La continua diminuzione che ci affligge dal 2008 si spiega con il calo dell’apporto della componente straniera, che fino ad allora aveva fatto da paracadute».

Non è solo questione di crisi, spiega il demografo: «Negli anni precedenti il 2008, si sono completati alcuni processi di ricongiungimento familiare di massa, resi possibili dalle sanatorie. Ora invece l’Italia per gli stranieri è poco attrattiva. Il progetto migratorio di chi arriva con i barconi è completamente mutato, il nostro Paese è visto come terra di passaggio verso il Nord Europa».

Per quanto riguarda gli italiani, invece, il calo si inserisce in un sistema di tendenziale criticità. «Credo che l’attuale debolezza della fecondità italiana – argomenta Blangiardo – sia anche e soprattutto una difficoltà della cosiddetta “classe media”, che ha un tenore di vita dignitoso, ma non può non fare i conti con un bilancio famigliare risicato e con l’esigenza di un lavoro per entrambi i coniugi. Sono fattori che giocano allo spostamento del calendario. Il progetto di un figlio non è escluso, ma si aspetta, e aspettare qualche volta significa poi rinunciare, perché il tempo passa e la capacità procreativa diminuisce. Per invertire la rotta della nave demografica italiana bisogna intervenire su questa fascia della popolazione».

 

Non è un problema privato

«Intervenire per invertire» la tendenza: sembra uno slogan e non lo è, in controtendenza con il terzo «inverno» da mettere in conto. Infatti, oltre allo stagionale e al demografico, c’è l’inverno delle politiche a favore della famiglia, di cui ci sono minime tracce sia a livello di bilancio che di scelte. In Europa quasi tutti (dietro abbiamo solo Spagna e Grecia) investono più di noi in welfare famigliare. Come se potessimo permettercelo! Scontiamo l’idea che la demografia sia una questione privata, il mettere al mondo figli non sia interesse della società, e quindi della politica. «Stiamo scomparendo per presunzione – sostiene il professor Blangiardo –. Servirebbero interventi strutturali ma, è sotto gli occhi di tutti, non si vedono grandi statisti in giro in grado di proporli e sostenerli. Si naviga a vista, si prendono decisioni che mirano al tornaconto immediato delle elezioni successive. Non si usa più inseguire un bene collettivo con un progetto di lungo respiro, rimboccandosi le maniche per qualche anno in vista della maturazione dei frutti. Urgente sarebbe mettere mano alle politiche sulla tassazione e sul lavoro, favorendo la conciliazione. Né la flessibilità né il part time dovrebbero essere penalizzanti quanto a costi e ruolo in azienda. Invece si punta su misure come il bonus bebè. Ma siccome i soldi scarseggiano, lo si riserva ai bassi redditi. Allora diventa un contributo per limitare la povertà, che va bene, ma è un’altra cosa. Sulla demografia non incide. Anche gli assegni familiari si sono ridotti a questo livello minimo di contrasto alla povertà».

Il confronto è con la Francia, che ha pressappoco la stessa popolazione, ma può contare su circa 800 mila nati l’anno contro il nostro mezzo milione scarso. «Il motivo – spiega l’esperto – lo sanno tutti: Oltralpe c’è il quoziente famigliare, sostegni normativi e di natura economica per la famiglia, per la donna. E non da oggi. Si è creata una mentalità a favore di una politica demografica, con risorse adeguate a bilancio. Nessuno si sogna di commentare: “Aiuto, abbiamo dato troppi soldi alle famiglie”. È normale, sanno che è un investimento sul capitale umano che si va formando. Da noi, invece, le politiche demografiche evocano il fascismo, e così sono rimaste un completo tabù, caduto in parte appena negli ultimi anni. Ma rimane un tema antipatico ai più. E nei fatti disatteso». Forse questa chiave di lettura si adatta anche a parte delle polemiche suscitate dal Fertility day lanciato dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin nel settembre scorso. «Errore di comunicazione» si è detto, probabilmente con ragione, ma è almeno stato un sasso nello stagno per un problema troppo poco sentito che resta, al di là dei pur fondamentali aspetti economici, una questione culturale.

Le statistiche piuttosto deprimenti presentate finora non spengono la Giornata per la vita, anzi la accendono di profezia, donando una boccata di speranza che non nega le criticità né banalizza le difficoltà, ma che sposta il piano su un altro livello, anche più semplice se vogliamo.

La famiglia, e la famiglia con figli, è questo, prima di tutto. È quel sogno di Dio di cui ci parla papa Francesco, e che ha delle conseguenze sempre in ordine alla profezia e alla testimonianza, come si legge in Amoris laetitia: «Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello: uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di spirito famigliare» (AL 183).

 

L’articolo completo è leggibile nel numero di febbraio 2017 del «Messaggero di sant’Antonio», o nella versione digitale collegandosi a questa pagina.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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