01 Dicembre 2015

Nasce la grazia

I pastori nella grotta di Betlemme trovano Giuseppe, Maria, madre della Misericordia, e il loro figlio appena nato, che si chiama «Misericordia di Dio». La notte santa ha davvero in serbo sorprese per tutti i peccati! E tanto più in quest’anno giubilare.

Perché i pastori che vegliavano i greggi nei campi attorno a Betlemme, quella notte ebbero paura all’annuncio degli angeli? Tant’è che questi esseri alati cominciarono il loro «spot» natalizio proprio con un rassicurante: «Non temete!» (Lc 2,10). Solo perché non capita poi tutte le notti che il nostro dormiveglia venga interrotto dal chiasso di creature angeliche che hanno qualcosa di urgente da rivelare proprio a noi? Suvvia, volete che questi uomini, assuefatti e persino abbruttiti da tante giornatacce e nottate passate all’addiaccio, alla mercé di pericoli, umani e bestiali, di ogni tipo, dai modi spicci, si spaventassero per così poco? In un contesto religioso, inoltre, dove si credeva che «l’altra realtà» che ci circonda è frequentata da esseri viventi tanto quanto la nostra, e che dall’una all’altra c’è un via vai quotidiano? No, ci deve pur essere un altro motivo per la paura dei pastori.

Non potrebbe essere che i nostri bravi pastori proprio così bravi non fossero? Lo stile precario della loro vita, il fatto che fossero quotidianamente a contatto con gli animali, a zonzo per le campagne e perciò anche lontani dal tempio di Gerusalemme o dalla sinagoga di paese, li rendeva inaffidabili dal punto di vista giuridico. Ma anche da quello religioso, codificato dai rabbini del tempo. Sapevano perciò che se un Messia stava infine per sbarcare su questa nostra terra, sarebbe stato sicuramente per la loro condanna! No, quell’annuncio angelico non prometteva niente di buono per loro.

 

Ma la notte, stanotte, ha in serbo sorprese per tutti i peccati! «Il Ciel dei bruti ancora prende pensiero» (Luigi Fracchi, detto il Clesio). Anzi, ormai forse solo in cielo ci si ricorda ancora di noi poveracci, persi tra «sex & drugs & rock’n’roll» (come Ian Dury cantava negli anni ’70) e non sempre nello stesso ordine. E se le parole degli uomini faticano a trovare la strada per venire fin quaggiù, non così la Parola di Dio! La misericordia divina non è affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza divina, scrive papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae Vultus, citando san Tommaso d’Aquino. La misericordia divina non è condono o grazia per gentile concessione del regnante di turno, non è semplice clemenza: potrei ammazzarti ma, bontà mia, ti risparmio la vita. È il cuore della Trinità.

 

Ed è esattamente ciò che i pastori trovano nella grotta: Giuseppe, Maria, madre della Misericordia, e il loro figlio appena nato. Che si chiama appunto «Misericordia di Dio»! Al di là della scalcinata e cigolante porta di legno, piena di spifferi come deve essere la porta santa della misericordia, senza campanelli per annunciarsi, sempre socchiusa, stretta stretta ma alla bisogna capace di far passare un cammello, ognuno di loro ha potuto immergersi nello sguardo dolce del suo buon Samaritano, Padre misericordioso, buon Pastore o Donna che cerca con passione il soldo perso che dir si voglia.

Potevano tornarsene sui loro passi, ai greggi lasciati incustoditi, pellegrinando ora lungo la via della misericordia: che è costellata non di lapidi o processi sommari, ma di perdono e vita nuova. Capaci di vita nuova perché perdonati: «Miserando atque eligendo», così Beda il Venerabile, monaco vissuto nell’VIII secolo, commentando la chiamata di Matteo il pubblicano (Mt 9,9), sintetizzava l’amore di Gesù che guarda con sguardo di misericordia e chiama. Papa Francesco ne ha fatto il suo motto.

Un Anno santo straordinario, certo, ma per ritmare ogni nostro giorno, anche le nostre povere giornate, con il ritornello del Salmo 136: «Il suo amore è per sempre»!

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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