L’intervista. Konrad Krajewski

Monsignor Konrad Krajewski, che tutti in Vaticano chiamano don Corrado, già cerimoniere di Giovanni Paolo II, ha il ruolo di elemosiniere pontificio. Papa Francesco, attraverso di lui, aiuta i poveri e i bisognosi.
30 Gennaio 2014 | di

«Non ti voglio vedere seduto alla scrivania, la puoi pure vendere». Papa Francesco è stato molto chiaro e monsignor Konrad Krajewski, dall’agosto 2013 elemosiniere pontificio, ha preso sul serio l’indicazione ricevuta. Dopo essere stato per anni cerimoniere al servizio di Giovanni Paolo II, don Corrado, come lo chiamano tutti in Vaticano, ha ora il compito di aiutare i poveri a nome del Papa. Un compito che Francesco gli ha chiesto di interpretare con dedizione totale verso i bisognosi. 

L’elemosineria pontificia esercita la carità in diversi modi. La risorsa più tradizionale, fin dai tempi di Leone XIII, è la vendita delle pergamene (circa 250 mila all’anno) con la benedizione papale: realizzate su richiesta, vengono fornite in occasione di matrimoni, battesimi, anniversari, e il ricavato va tutto in beneficenza. Poi ci sono le donazioni che il Papa riceve da ogni parte del mondo e che, qualunque sia l’entità, da pochi euro fino a cifre molto importanti, lui gira immediatamente a don Corrado. 

Lo scorso anno l’elemosineria ha distribuito aiuti per oltre un milione di euro, ma c’è una netta tendenza all’aumento, innescata dalla grande popolarità di Francesco e dalla fiducia nutrita in lui. Decidere come utilizzare il denaro è il compito di don Corrado. Racconta monsignor Krajewski: «Ogni volta che lo incontro, il Papa mi chiede: “Hai bisogno di soldi?”. Tutte le mattine mi arrivano richieste di aiuto indirizzate al Santo Padre. Non mi dà indicazioni particolari. Si limita a dire: “Tu sai che cosa devi fare”. E io so che devo alimentare il fondo per la carità gestito dall’elemosineria in modo da far fronte a tutte le richieste».


Msa. È vero che papa Francesco non vuole che i soldi siano accumulati né che siano investiti?
Krajewski. Esatto. Lui dice che il conto dell’elemosineria è buono quando è vuoto. Il denaro deve restare nelle nostre mani il minor tempo possibile. Il suo ordine è di donare tutto ai poveri.

E quali altre indicazioni le ha dato?
Mi ha detto: «Non sarai un vescovo da scrivania e non ti voglio vedere dietro di me durante le celebrazioni. Voglio che tu sia sempre in mezzo alla gente, tra i bisognosi. Dovrai essere il prolungamento della mia mano per portare una carezza ai poveri, ai diseredati, agli esclusi. A Buenos Aires andavo spesso in giro per trovare i miei poveri. Ora non posso più e allora tu lo farai per me». E questo è ciò che io faccio.

Quindi, a parte queste indicazioni di fondo, dal Papa totale libertà di manovra?
Proprio così. Il concetto fondamentale è non vincolare il denaro, ma trasformarlo immediatamente in opere di carità. Certo, occorre farlo con intelligenza, quando si è sicuri.

E lei, monsignore, come si regola?
Dipende dalle circostanze, dalle necessità che ci vengono segnalate. I nostri intermediari sono sempre i parroci. È a loro che ci rivolgiamo per verificare la fondatezza delle richieste ed è a loro che facciamo riferimento per l’invio degli aiuti.

Ma è vero che il Papa le ha chiesto di andare, per quanto possibile, anche di persona a portare gli aiuti?
Sì. Quando, per esempio, qualcuno chiede aiuto per pagare una bolletta della luce o del gas, se è possibile io vado di persona, in modo che il beneficiario, attraverso la mia presenza, avverta in modo diretto, direi fisico, la vicinanza del Papa. La povertà si accompagna spesso con la solitudine, con l’emarginazione, con la mancanza di rapporti sociali. Per il povero è importante ricevere l’aiuto materiale, ma è importantissimo anche avvertire il calore umano della solidarietà, sapere che il Papa lo pensa, gli è vicino e prega per lui.

Monsignor Krajewski, qualche tempo fa sui giornali si è parlato di lei perché, così è stato riferito, avrebbe lasciato capire che qualche volta anche papa Francesco esce con voi per aiutare i poveri…
Il Papa vorrebbe farlo, come ai tempi di Buenos Aires, ma non può. Per questo manda me. Ma lui comunque «esce». Lo fa con i suoi discorsi, con le sue omelie, con i gesti di attenzione verso i poveri e i malati, con la simpatia e la partecipazione che dimostra quando è in mezzo alla gente.

Ed è stato Francesco a decidere di mandarla a Lampedusa dopo quel tragico naufragio?
Sì, è stata una sua decisione. Mi ha mandato per esprimere la sua vicinanza a tutti, ai sopravvissuti ma anche ai soccorritori e agli abitanti dell’isola sempre in prima linea nell’accoglienza. Ho distribuito corone del rosario, ho benedetto le bare, ho parlato con i sub e anche a loro ho donato il rosario, perché lo portassero giù, in fondo al mare, dove altri corpi erano intrappolati nella stiva dell’imbarcazione naufragata. Abbiamo anche portato carte telefoniche prepagate, per consentire ai migranti di chiamare casa.

E quando, invece, gira per Roma, quali sono i suoi obiettivi?
Vado in tanti luoghi in cui c’è povertà e solitudine. Percorro la città e le zone limitrofe in lungo e in largo. Per trovare la povertà non è necessario andare troppo lontano. Ce n’è tanta anche qui, a pochi passi dal Vaticano, sotto i portici di via della Conciliazione. Di notte compare una folta popolazione di senza fissa dimora, uomini e donne che hanno bisogno di tutto. Con l’aiuto di alcune suore, delle guardie svizzere e di un gruppo di giovani volontari cerco di alleviare le sofferenze, di consolare. Portiamo loro qualcosa di caldo da mangiare e da bere, e poi abiti, coperte. In vista del Natale abbiamo distribuito buste già affrancate, contenenti carte telefoniche prepagate e un’immagine del Papa, per consentire ai poveri di mandare messaggi e auguri a casa. Alcune volte durante la settimana vado anche a trovare i volontari di diverse associazioni e gruppi di Roma che ogni sera aiutano i poveri.

È vero che alcune delle persone assistite le sono state vicine nel giorno della sua ordinazione episcopale?
Sì, le ho invitate e loro mi hanno fatto il regalo più bello decidendo di resistere alla tentazione dell’alcol, un vizio nel quale cadono spesso per dimenticare i loro problemi.

Lei è noto soprattutto per essere stato cerimoniere di papa Wojtyla. Qual è il suo ricordo di Giovanni Paolo II?
Gli sono stato accanto per anni e posso dire che la sua santità si intuiva in ogni momento. Era sempre in dialogo con Dio. Vivendo accanto a lui ho imparato a scorgere real­mente la persona di Cristo nei poveri. Proprio in quel periodo ho incominciato a frequentare la chiesa di Santo Spirito in Sassia, prendendo l’abitudine di confessare ogni giorno, nel pomeriggio, cosa che faccio ancora.
Ma è vero che lei già in Polonia aveva avuto esperienze nel campo della carità?
Per un certo tempo, prima di arrivare in Italia, sono stato cappellano in un istituto psichiatrico. Così a Roma mi è sembrato naturale continuare quel tipo di esperienza. Nel tempo libero andavo al Policlinico Umberto I e in diverse case di cura. E forse è stato per questo che papa Francesco ha pensato a me per il ruolo di elemosiniere.

A suo giudizio, come sta cambiando la «mappa» della povertà?
Purtroppo è un’area che si sta allargando a zone geografiche e a categorie sociali che fino a poco tempo fa ne sembravano immuni. Le lettere che ci arrivano da Roma e dal resto dell’Italia sono emblematiche: disegnano un quadro doloroso di miseria crescente. I problemi economici ci sono, ma sono soltanto una componente di un disagio più grande. Ciò che mi colpisce è la rapidità con la quale una situazione di precarietà si può trasformare in uno stato di vera e propria emarginazione. Poi ci sono i drammi degli immigrati e dei rifugiati, e i problemi dei malati gravi che non dispongono delle risorse per curarsi adeguatamente. Noi cerchiamo di andare incontro alle esigenze che ci vengono segnalate, anche con l’aiuto di alcuni medici volontari. Di fondamentale importanza è poi la collaborazione di associazioni caritative che mettono a disposizione somme di denaro e strutture di accoglienza.
 
 
La scheda
Biografia


Monsignor Konrad Krajewski nasce a Łodź, in Polonia, il 25 novembre 1963. Dopo il liceo, nel 1982, entra nel seminario diocesano e nel 1988, conseguita la laurea in teologia all’Università Cattolica di Lublino, è ordinato sacerdote.

Svolge lavoro pastorale come vicario parrocchiale, poi nel 1990 viene mandato a Roma per proseguire gli studi presso l’Istituto liturgico Sant’Anselmo, dove nel 1993 consegue la licenza in sacra liturgia e due anni dopo la laurea in teologia, con specializzazione in liturgia, presso la Pontificia Università San Tommaso.

Durante questa prima permanenza a Roma collabora con l’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Papa ed è cappellano della Clinica ortopedica e traumatologica dell’Università La Sapienza.

Rientrato in diocesi nel 1995, diventa cerimoniere dell’arcivescovo e insegna liturgia.
Nel 1998 torna a Roma e l’anno dopo è nominato cerimoniere al servizio di papa Giovanni Paolo II (polacco come lui). Il 3 agosto 2013 papa Francesco lo nomina elemosiniere pontificio e il 17 settembre è consacrato vescovo nella Basilica di San Pietro.


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017