Liliana Cavani. Una lunga fedeltà

Va in onda su Raiuno, l’8 e il 9 dicembre, il terzo film su Francesco di Liliana Cavani. La regista racconta di ammirare moltissimo il santo assisiate, studiato con passione fin dagli esordi della sua carriera.
25 Novembre 2014 | di

Mentre tutta l’Italia è sommersa dalla pioggia, Liliana Cavani a Roma sta concludendo con perizia e passione, senza farsi distrarre da nulla, le ultime fasi di lavorazione del suo terzo film dedicato a san Francesco, in onda su Raiuno l’8 e il 9 dicembre. La regista ha riservato al santo di Assisi «una lunga fedeltà» che va ben oltre ogni encomio o critica ricevuta. Dopo Francesco d’Assisi con Lou Castel (1966), Francesco con Mickey Rourke (1989), ora questo suo terzo film vede Mateusz Kos´ciukiewicz nei panni del protagonista, Sara Serraiocco nel ruolo di Chiara e Vinicio Marchioni come frate Elia.

Liliana Cavani torna dunque a occuparsi di un santo che in realtà ha sempre seguito con interesse e ammirazione: «Amo moltissimo – ci dice – due persone della storia: Mozart e san Francesco. Sembrerebbero apparentemente lontani e invece hanno tra loro una “strana connessione”. Mi hanno sempre commosso: uno è un santo e l’altro è un artista, ma sono due meravigliose creature. Si pensi a quanto mancherebbe all’umanità se non ci fossero state».

Msa. Che cosa le piace di san Francesco?
Cavani. Quello che mi piace è che non ha mai pensato di fare il maestro di nessuno, ma, appassionato del Vangelo, ha cercato di seguirlo amando tutte le creature di Dio. È una cosa straordinaria il non pretendere di essere maestro, di essere primo, preferendo essere «ultimo». Conosco tantissime persone che usano i doni dell’intelligenza per diventare «primi» e, a volte, quando ci riescono, la loro vanità va alle stelle; si impegnano accanitamente in questa salita e non sanno di perdere una cosa importantissima che a loro pare inutile e vana e invece è il senso profondo della loro stessa vita, unica. Francesco, invece, vuole essere fedele al rapporto d’amore con Gesù, vuole utilizzare il proprio tempo non seguendo i riti di una vita qualunque, ma seguendo un movimento preciso che lo conduce a compiere un’indagine profonda del senso della vita. Per lui il Vangelo è la «scoperta delle scoperte» essendo proprio l’annuncio del senso della vita di tutte le creature. E questa fede-certezza diventa la spinta di tutte le sue azioni. Tutte le creature sono la «Fraternità» con Gesù Cristo.

Perché, ogni ventitré anni circa, il suo interesse di regista torna a Francesco?
Occuparsi di Francesco arricchisce, muove la fantasia, e risponde a una ricerca di senso della vita. È un’esperienza che io propongo agli altri attraverso un film perché questo è il mio mestiere, l’unico che so fare.

In passato su quali testi si è basata e, ora, su quali nuovi studi francescani?
La prima volta mi interessai di Francesco per caso e per fortuna: mi imbattei in un libro, la Vita di san Francesco d’Assisi (1894) di Paul Sabatier. Lo trovai un bellissimo romanzo di formazione. Poi lessi Un santo unico (1952) di Joseph Lortz, un teologo, professore all’Università di Magonza. Un testo modernissimo su Francesco. Oggi ho decine di libri su questo santo, mentre quando ho fatto il primo film non c’erano neanche tutte le Fonti pubblicate insieme. Francesco allora non era così studiato presso gli intellettuali, a parte Dante Alighieri che nella Divina Commedia ne parlò meglio di tutti gli altri. Tra gli ultimi studiosi cito Chiara Frugoni, sempre brava, che si è occupata molto di Chiara e Francesco, Jacques Le Goff e tutti i medievisti… Sulla crociata, presente in questo terzo film, insieme con i miei collaboratori abbiamo tenuto presente il saggio dell’americano Paul Moses. Ma già Giacomo da Vitry, vescovo contemporaneo di Francesco e presente alla Crociata, ha lasciato una testimonianza interessantissima su quanto era accaduto con l’arrivo di Francesco. In ogni caso, in tutti questi anni ho sempre continuato a comprare libri su Francesco…

Fu però l’editore Einaudi che, attraverso un collaboratore, mi chiese di scrivere un libro sul santo di Assisi (sulla sua modernità in tempi di crisi di valori e di decrescita economica) e mi fece così pensare che un film su di lui era forse ancora da fare, con altri approfondimenti.

Che caratteristiche ha per lei Francesco?
Francesco è talmente moderno con la sua visione del mondo, che noi finiamo poi sempre per parlarne da posizioni ritardatarie. Di fatto è sempre «inattuale» perché troppo attuale.

Come ha individuato il protagonista maschile, Mateusz Kos´ciukiewicz?
È stata una scelta lunga e difficile, dovevo fare il film in inglese, quindi ho fatto una trentina di inutili provini a Londra. Kos´ciukiewicz l’ha trovato la mia collaboratrice del cast alle European Shouting Stars del Festival di Berlino. Lo chiamammo a Roma per un provino e mi convinse subito. A questo punto Mateusz è diventato un giovane umbro.

La scelta di girare il film è dovuta a questo Papa?
No, quando è stato eletto papa Francesco, e si è dato questo nome, io stavo già lavorando alla sceneggiatura con i miei collaboratori da quasi un anno. Con l’elezione di papa Francesco ho avuto la conferma che questo mio desiderio di tornare su Francesco era ben condiviso.

A questo punto, che cosa pensa di papa Francesco (del quale, secondo le anticipazioni della stampa, lei si occuperà in un prossimo lavoro)?

Non spetterebbe a me parlarne, ma è l’uomo del quale la Chiesa, i cristiani e il mondo avevano bisogno in questo momento. Un segno «provvidenziale» direi.

Un altro papa, Giovanni Paolo II la invitò in Vaticano a vedere il suo film Francesco.
Era il giorno dell’Epifania del 1990, ricordo che pioveva tantissimo. Nella saletta c’erano Giovanni Paolo II e pochi altri stretti collaboratori. Sedevo accanto a lui che ogni tanto si commuoveva e mi sfiorava un braccio. Alla fine mi abbracciò commosso.
Gli «ultimi» sono al centro di questo suo film?

Sono presenti perché Francesco si mise con loro. Diventarono anche loro partecipi della sua famiglia. Lo stesso fece Chiara che è molto presente in questo film.

In che cosa lei, laica, si sente cambiata dalla «vicinanza» a Francesco?
Avvicinare Francesco in qualche modo addolcisce un poco certe nostre reazioni, le influenza. Francesco dice «beati i pacifici». Qualcosa rimane sempre e, del resto, ho sempre pensato che tanta parte dell’agire di Francesco sia pura teologia.

Come vede questo suo messaggio di pace in un «mondo in fiamme»?
Noi non abbiamo una cultura della pace, che dovrebbe essere invece «l’arma più importante». Una cultura che avrebbe dovuto essere imposta dopo gli orrori del XX secolo. L’Onu dovrebbe agire con vera efficacia.

Quanto è importante per lei la libertà?
Ho subito aderito al concetto di libertà di Francesco. Sulla libertà è stato scritto tanto e spesso vanamente. Libertà sembra una parola slogan per sfide libertarie e dal sapore anarchico. Viceversa, a mio parere, è la vera e sola base per una credibile teologia, perché riguarda il destino della persona. Infatti Libertà è poter decidere di diventare se stessi. La «conversione» per Francesco era un libero processo di mutamento di se stesso. Francesco ha voluto cambiare in primis se stesso. Era questa la sua teologia. Egli comprese che solo con l’esempio della propria vita poteva aiutare altri a cambiar vita. Francesco non accusò mai la Chiesa, il clero, come facevano gli eretici del suo tempo. Questa fu un’intuizione grandiosa: cambia te stesso se vuoi, solo questa è la «conversione», la sola vera svolta, il solo cambiamento di vita, e non puoi pretendere che altri lo facciano per imposizione. Non erano idee del suo tempo e questo spiega il culto particolare a Francesco nei giorni nostri. Francesco è del nostro tempo, anzi «ci sopravanza».

Cosa direbbe a un giovane che volesse lavorare nel cinema?
Non so che cosa dire quando qualcuno me lo chiede. Viviamo una grave crisi economica e culturale. È come se non si fosse seminato nulla e ci si meravigliasse poi che non nasce niente. Cinema e audiovisivo in genere sono un’industria culturale importantissima che è stata sottovalutata per troppo tempo per ignoranza e mancanza di visione strategica culturale ed economica. Abbiamo avuto troppi politici incompetenti del settore mentre era (ed è) necessario essere competitivi. Siamo totalmente fuori dal mercato audiovisivo. I nostri lavori non hanno un mercato e, di conseguenza, c’è scarsissimo investimento. Compriamo tantissimi prodotti audiovisivi stranieri perché costa molto meno che farli in casa e quelli che facciamo noi li vediamo in genere soltanto noi. Questo ha significato bloccare una generazione di giovani che aspiravano a queste professioni.

Lei è nata a Carpi, in provincia di Modena, ha conosciuto don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia nato a Fossoli di Carpi?
No, non ho conosciuto don Zeno, ero piccola quando agiva a Nomadelfia.
A Carpi però c’era sua sorella, Marianna Saltini, della quale ho tanto sentito parlare. Era una donna benestante che negli anni Trenta, rimasta vedova, lasciò i suoi figli in cura ai suoi fratelli per dedicarsi all’accoglienza di bambine e ragazze abbandonate e povere. Ha creato una famiglia per loro. Si chiamava Casa della Divina Provvidenza e a Carpi c’è ancora. La Provvidenza non è mai mancata a questa grande famiglia. Mi hanno raccontato che anche quando c’era la guerra loro ricevevano sempre cibo in abbondanza per loro stessi e anche per gli altri che ne avevano bisogno. Di questa donna, sorella di don Zeno, chiamata «Mamma Nina», da anni è in corso la causa di beatificazione.

Sempre a Carpi lei andava al cinema con sua mamma. È lì che nacque la «passione di una vita»?
Sì, mia mamma amava molto il cinema e mi ci portava la domenica pomeriggio. Può darsi che sia questo un esordio del mio interesse per il cinema. Poi quando facevo il liceo, con altri amici di Carpi avevamo fondato un piccolo cineclub e andavamo a scegliere i film a Bologna perché lì c’erano le agenzie.
 
 
Biografia
Liliana Cavani nasce a Carpi, in provincia di Modena. Si laurea in lettere antiche a Bologna. Va a Roma e si diploma al Centro sperimentale di cinematografia. Nello stesso anno vince un concorso indetto dalla Rai per funzionari di carriera ma rinuncia al contratto per poter fare la libera professionista. Attraverso il cinema Liliana Cavani ha compiuto con maestria e grande libertà «ogni possibile viaggio». Tutta la sua filmografia è presentata nella biografia di Francesca Brignoli, Liliana Cavani. Ogni possibile viaggio, Le Mani editore. Cavani ha al suo attivo documentari e inchieste a carattere politico e sociale, film che si avventurano spesso in tematiche difficili o che ripercorrono esistenze (Alcide De Gasperi, Einstein, Francesco).

È anche regista di numerose opere liriche. Ha ricevuto parecchi premi e riconoscimenti ed è entrata già nella storia del cinema. Questo suo ultimo  lavoro, Francesco appunto, ripercorre tre periodi fondamentali della vita del santo anche attraverso due persone per lui significative: Chiara d’Assisi, che fu tra le prime a capire la sua spiritualità, ed Elia da Cortona (frate Elia).


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017