L’estremista della carità

L'Egitto dopo la visita di papa Francesco dello scorso aprile, tra messaggi di speranza e un rinnovato impegno per il dialogo.
03 Luglio 2017 | di

Francesco si era già recato in Egitto. Altri tempi. Era il 1219 e lui era il poverello di Assisi. Aveva affrontato un lungo e pericoloso viaggio, sfidando il Mediterraneo e la quinta crociata in atto. Avrebbe incontrato il Sultano, Malik Al Kamil, a Damietta, vicino al Cairo, per gettare il primo seme di un dialogo di pace tra cristianesimo e islam.

«Oggi Francesco ritorna. Con l’aereo, è vero. Ma il contesto, i pericoli e gli obiettivi sono gli stessi. Dialogo e pace. Nella terra dell’incontro per antonomasia». Danyal ha 32 anni e attende trepidante l’arrivo di Bergoglio, nel suo negozio di al Warshah street, nel cuore di Shubra. L’unico quartiere del Cairo dove i cristiani non sono minoranza.

«Il Papa aveva ricevuto Tawadros a Roma e – ricorda – aveva promesso che avrebbe ricambiato la visita. Lo ha fatto, in uno dei momenti più difficili per noi». Dal televisore giungono i canti della Messa, officiata dal Pontefice allo Stad, il complesso sportivo dell’aeronautica, all’interno della cittadella militare del «30 giugno», blindata per l’occasione.

«L’unico estremismo è la carità – ripete Bergoglio sull’altare – non serve curare l’apparenza, perché Dio guarda l’anima e il cuore e detesta l’ipocrisia». A Shubra le apparenze non ingannano mai. Il quartiere è povero. Un dedalo di vicoli dove musulmani e cristiani hanno imparato a convivere. «La crisi economica è dura – racconta Danyal, mentre riempie un sacchetto di fool, le fave egiziane, servendole a un’acquirente con il volto incorniciato da un hijab – qualche mese fa la lira egiziana ha perso metà del suo valore. I prezzi sono raddoppiati ovunque. Ma i salari restano gli stessi. Non ci sono più turisti. Questi problemi attanagliano tutti, siano essi cristiani o musulmani».

Il numero reale dei copti, in Egitto, è da sempre oggetto di disputa. «Nel marzo del 2011 – spiega lo scrittore cristiano Maged Attiya, veterano del giornalismo economico egiziano – il settimanale governativo «al-Ahram al-Arabi» li attestava sui 18 milioni. Ma al di là delle cifre, ciò che conta è la libertà di professare la propria religione, l’uno accanto all’altro. L’Egitto è un Paese plurale da sempre. Non esistono due diverse nazioni, fuse nella stessa cittadinanza. Siamo tutti egiziani e il dialogo interreligioso è essenziale per noi. Papa Francesco ha ragione. È attraverso il confronto che si combatte l’estremismo di chi ha interesse a dividere il Paese in fazioni religiose».

Una strada, quella del dialogo, su cui resta caldo il sangue delle 44 vittime accertate negli attentati suicidi avvenuti lo scorso 9 aprile ad Alessandria e Tanta. «Chi ha ucciso quelle persone non è un vero musulmano – sentenzia Ahmed Hammad, mentre distribuisce la soos, la tradizionale bevanda alla liquirizia, facendo vibrare i piatti con le mani, per richiamare gli acquirenti –, la visita di papa Francesco è un onore per noi. Ha avuto coraggio. E l’abbraccio con Ahmad al-Tayyib, il grande imam dell’Università di al- Azhar, è stato toccante. Ci ha ricordato che i cristiani sono nostri fratelli. E che la nostra è una sorte comune».

Concordi gli analisti locali, nel sottolineare la portata storica dell’incontro di Bergoglio con gli ulema del mondo sunnita. «Un fatto memorabile – lo definisce Maaty al-Sandoubi, giornalista e scrittore, per anni corrispondente da Roma del quotidiano egiziano «Akhbar Alyoum» –, senza precedenti è stato anche il discorso di al-Tayyib.

Un appello al dialogo e alla pace rivolto a tutti gli esseri umani, non solo ai musulmani. Il tutto in Egitto, la terra dell’incontro per antonomasia». «La politica è stata tenuta volutamente fuori dalla visita – osserva el Sandoubi –. Ma Francesco ha toccato anche l’attualità. “Ci sono famiglie che piangono i loro figli” ha detto, a margine dell’incontro con il presidente Abdel Fattah al-Sisi. Un riferimento chiaro alla vicenda di Giulio Regeni». Dopo le ripetute istanze del governo italiano e le denunce delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, la verità sulla sorte del ricercatore friulano resta lontana. 

«Casi simili al suo – conclude al-Sandoubi – ce ne sono a decine, oramai, in Egitto. Non si può voltare lo sguardo dall’altra parte».  

L’articolo completo è disponibile nel numero di luglio-agosto 2017 della rivista e nella versione digitale.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017
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