Le vittime e i «fotoguardoni» del macabro

I morti non possono difendersi dall’invadenza di cellulari, macchine fotografiche e telecamere. La solenne lezione di un agente della Polizia stradale tedesca.
21 Agosto 2019 | di

Chi non ricorda le parole che Francesco Ferrucci, ferito e non più in grado di difendersi, disse a Fabrizio Maramaldo prima di essere da lui trafitto a morte? «Vile, tu uccidi un uomo morto». Questa frase è entrata a far parte del nostro linguaggio, di solito con una connotazione scherzosa, del tutto assente nella drammatica vicenda che ebbe luogo il 3 agosto 1530 nella piazza di Gavignana.

L’episodio è rimasto nella nostra memoria come una gravissima infrazione delle regole della cavalleria, ma quando mi trovo di fronte a fatti come quello che sto per descrivervi, quelle parole di Ferrucci mi tornano in mente in una nuova versione: «Vile, tu fotografi un uomo morto».

Mi riferisco al video diffuso in Rete alla fine di maggio e prontamente commentato con efficacia, tra i tanti, da Massimo Gramellini. Vi si vede un agente della Polizia Stradale tedesca, in servizio sull’autostrada Roth-Norimberga, che impartisce una solenne lezione a tutti i morbosi amanti del macabro intenti a fotografare scene di incidenti o crimini. Per una volta mi fa piacere citare il nome di questo agente: Stefan Pfeiffer.

Accorso con la sua pattuglia sul luogo di un incidente mortale, il suo intervento era ostacolato dai numerosi conducenti di automezzi che rallentavano o si fermavano per immortalare – è il verbo giusto – la scena. Pfeiffer ha scelto una soluzione paradossale, invece del solito invito a circolare: ha invitato con energia i «fotoguardoni» a scendere per vedere da vicino, dal vivo –  altra locuzione che cade a pennello in questo contesto di morte – i corpi delle vittime. Lo ha fatto parlando in tedesco e in inglese a seconda della nazionalità degli automobilisti e dei camionisti. «Che senso ha fotografare i cadaveri, cosa se ne fa, le serve per fare scena con gli amici? Venga a vedere come sono ridotti e ne abbia rispetto», questo è più o meno il senso della indignata reprimenda dell’agente, che si concludeva con un vibrante «Si vergogni!». Dalle espressioni imbarazzate e turbate dei conducenti, sembra che quel «si vergogni» abbia colto nel segno.

Il pensiero va, per associazione di idee, a quelle foto scattate senza chiedere il permesso dai turisti nei Paesi in cui ancora è diffusa la credenza che la foto «rubi l’anima». Al turista non si chiede certo l’adesione a questa credenza popolare, ma il rispetto per chi, da millenni, nutre queste convinzioni. L’agente Pfeiffer ha chiesto qualcosa di più, ha chiesto di rispettare anche quei corpi dai quali l’anima non può essere rubata perché volata via.

Data di aggiornamento: 21 Agosto 2019
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