17 Settembre 2018

Le stimmate di san Francesco

Se l’esperienza delle stimmate ricevute da Francesco fu unica e straordinaria, in realtà anche ciascuno di noi può lasciarsi toccare docilmente dall'amore di Gesù, diventandone poi riflesso vivente.
affresco di san Francesco stimmatizzato
Chiesa di San Francesco, Treviso, particolare delle vele affrescate dell'abside romanica.
©NicolaBianchi/archivioMsa

Pace e bene, cari amici in ricerca vocazionale.

Facciamo oggi, 17 settembre, memoria delle stimmate di san Francesco. Il Poverello d’Assisi è nella storia della chiesa il primo cristiano ad essere segnato dalle impronte della passione del Signore nel suo corpo. Gli resteranno impresse fino alla morte, avvenuta la sera del 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli. E così, egli che aveva voluto in tutto farsi simile a Cristo per la sua radicale scelta di vita evangelica, ne diventò anche fisicamente il riflesso vivente, il ritratto visibile, l’alter Christus.

Ma come avvenne questo fatto misterioso?

San Francesco, due anni prima di morire, si trova alla Verna, un monte selvaggio – un «crudo sasso» come lo descrive Dante Alighieri – che s’innalza verso il cielo nella valle del Casentino. Qui è giunto per vivere in solitudine quaranta giorni di digiuno e preghiera in preparazione alla festa dell’Arcangelo Michele di cui è devoto. Il santo d’Assisi è particolarmente legato a questo luogo, ottenuto in dono dal conte Orlando signore di Chiusi. La leggenda che vuole le enormi fenditure e le caverne che lo caratterizzano generate al seguito del terremoto che seguì alla morte di Gesù in croce sul Golgota, affascina e attrae oltremodo Francesco.Qui gli è più facile meditare la Passione del Signore e partecipare intimamente ad essa. Qui può innalzare un’intensa preghiera che bene esprime tale stato d’animo:

“O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch' io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (dai Fioretti).

Questa invocazione non rimane inascoltata. È fatto degno, infatti, dopo una notte di preghiera, di ricevere misteriosamente sul proprio corpo i segni visibili della Passione di Cristo: le mani, i piedi e il costato trafitti. Il prodigio avviene in maniera così mirabile che i pastori e gli abitanti dei dintorni riferirono ai frati di aver visto per circa un’ora il monte della Verna avvolto di un vivo fulgore, tanto da temere un incendio.

Ecco come san Bonaventura, suo biografo, riporta l’episodio:

«Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo. A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore. Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione. Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, l’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito» (Leg. Maj., I, 13, 3). Cari amici, se l’esperienza di Francesco fu unica e straordinaria, in realtà, questo «incendio dello Spirito» è possibile e praticabile anche per ciascuno di noi. Tutti, infatti, possiamo provare ad imitarlo ricercando una sempre maggiore intimità e amicizia con Gesù, meditando devoti la Sua passione, contemplando ardenti il Suo volto, ripercorrendone appassionati le orme, rinnovandone i gesti e i sentimenti di bontà e compassione, ascoltando disponibili la Sua voce, lasciandoci toccare docilmente dal Suo amore. Anche noi chiamati così ad essere, come Francesco l’alter Christus, il riflesso vivente, il ritratto visibile, una presenza tangibile del Signore Gesù e del suo messaggio di salvezza per ogni uomo.

A Lui sempre la nostra lode.

Fra Alberto (fra.alberto@davide.it)

Data di aggiornamento: 17 Settembre 2018
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