28 Ottobre 2014

Laudato si’ per sorella morte…

Vedendo tanta gente aggirarsi mesta tra le lapidi, penso sia cosa buona che almeno una volta all'anno nessuno si vergogni di frequentare la morte. Che almeno una volta all'anno ci permettiamo di essere noi stessi, nella bellezza della nostra fragilità.

Morte! Gridiamola subito questa parolaccia, incubo dei nostri sogni, scogliera contro cui si infrangono inesorabilmente le onde dei nostri deliri di onnipotenza. Strano tempo il nostro! I morti ci entrano in casa a frotte a ogni tiggì: a causa della guerra, della stupidità delle bombe intelligenti, dell’incapacità di percorrere i sentieri dell’ascolto reciproco e del perdono, del bisogno di venderle pur a qualcuno le tante armi che produciamo, della paura che abbiamo di chi è diverso da noi, della presunzione che il dio di turno è dalla nostra parte (ma allora chi c’è dall’altra?). Per qualcuno, perché si sente la vocazione di portare l’ordine – il suo ordine – a chi non ce l’ha, soprattutto se questi ha però un po’ di petrolio. Per qualcun altro, per la disperazione e per la fame. Per gli uni e per gli altri, perché accecati dall’odio. Per molti, bestemmiatori, perché Dio lo vuole, e perciò tutto quadra e il conto torna. Tanti morti, ridotti però a effetti collaterali, incidenti di percorso, scotto da pagare per l’avanzare dell’ordine mondiale, cifre anonime per i bollettini quotidiani. Tanti morti, eppure può ormai capitare a molti di noi di non averne mai visto uno dal vero. Sono «morti virtuali» come quelli dei nostri ragazzi alle prese coi loro videogiochi, dove ammazzarne il più possibile è in vista del game over finale.



Ormai ce ne andiamo in punta di piedi, senza disturbare più nessuno, quasi vergognandocene. Si muore all’ospedale o in casa di ricovero, dove ad altri spetterà ricomporre la salma, e all’agenzia delle pompe funebri provvedere a tutto, persino a contattare il parroco per la celebrazione del funerale. Tanti morti, per non vederne davvero nessuno. Per non pensarci. Ma la morte non è la nota in calce della nostra vita, lì dove si nasconde la fregatura! Non capita quando l’arsenale dei nostri anni è ormai esaurito, quando ci ritroviamo senza più adesso, ma anche senza più ancora! Non moriamo perché non troviamo più nel nostro copione che cosa viene dopo. Come se la vita fosse a noleggio, e prima o poi ci tocchi inevitabilmente restituirla! Sembriamo tanti dead man walking, morti viventi, che si presenteranno alfine all’incontro con la signora con la falce già defunti. Non può essere così!

Sono solo nella mia stanza, in questo autunno già in sospetto di inverno, reduce da una passeggiata montana. Un piccolo cimitero mi ha guardato a lungo. Era brulicante come un formicaio appena disturbato. So che è novembre, il mese tradizionalmente dedicato alla visita a tombe di parenti e amici defunti. Vedendo tanta gente aggirarsi mesta tra le lapidi, mi viene da pensare che è buono che almeno una volta all’anno nessuno si vergogni di frequentare la morte. Almeno una volta all’anno ci permettiamo di essere noi stessi, nella bellezza della nostra fragilità. Senza vergognarcene, perché ci rispecchiamo gli uni nelle lacrime degli altri. Per un attimo non ci sentiamo più clienti della banca della fortuna, ma un gemito dell’eternità. Non «inquilini di un labile racconto» (Daria Menicanti), magari pure rancorosi con il correttore di bozze per il lavoro non proprio eccellente eseguito, ma esseri bagnati di luce, della luce della risurrezione di Cristo. Che niente e nessuno riuscirà mai a spegnere: qui finisce la strada, ma qui continua...



Questa è la speranza della nostra fede, fondata sulla verità dell’amore di Dio e sulla verità di noi stessi. Vita e morte non sono banalmente due fasi successive l’una all’altra, e la seconda non è nemmeno un accidentale difetto di fabbrica o un incidente di percorso. Imparare a morire, è imparare a vivere. E imparare a vivere, è imparare a morire. Per l’una e per l’altra, è imparare con Cristo a donarsi: prima del «da farsi» c’è il «da darsi». Sorella morte, almeno lei se non ci riesce la vita, ce lo insegni.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017