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Patrick Manoukian

L'arte di perdere tempo

Piccola celebrazione della sosta e degli imprevisti.
18 Febbraio 2017 | Recensione di
Scheda
Ediciclo
2017
Piccola filosofia di viaggio.
8,50

La sosta più del cammino. La pausa più che lo spostamento. Il tempo, solo in apparenza «perso», più che il tempo occupato dai nostri passi e persino dai nostri pensieri. Cosa rimane davvero del viaggio? Come scoprire in maniera più attenta, e non fugace, un luogo e, insieme, la civiltà e la cultura che ne stanno racchiusi dentro?

Patrick Manoukian è stato viaggiatore errante ed editore di libri per ragazzi. Partito a sedici anni per gli Stati Uniti ha soggiornato tre mesi nel Bronx, a New York. Due anni dopo ci ha rimesso piede percorrendo 40 mila chilometri in autostop negli Stati Uniti e in Canada. Oggi Manoukian scrive romanzi ispirati dai suoi numerosi soggiorni in America del Sud, in India e non solo. Il suo romanzo poliziesco Yeruldegger, uscito nel 2013, ha vinto diciassette premi letterari.

L’arte di perdere tempo (in libreria dal 2 febbraio) ci fa entrare in quella che l’autore definisce l’arte della nonchalance: per assaporare davvero il viaggio bisogna abbandonarsi in tutto e per tutto, mettendo in conto di vivere, senza patemi, anche deviazioni e disavventure. Perché sono proprio queste a permetterci di riconquistare il nostro tempo.

Bella sfida quella di Manoukian in un tempo di viaggi sempre più brevi, organizzati giorno per giorno, di avventure mordi e fuggi e partenze azzerate, in una manciata di momenti, già dal rientro. «Nel primo viaggio si scopre ‒ dicono i tuareg ‒. È nel secondo che ci si arricchisce». Dovrebbero essere questi, in fondo, il gusto, il senso più compiuto, la filosofia dell’andare. Sono, infatti, i momenti di silenzio, le pause, gli interstizi, gli incontri che non ti aspetti o gli imprevisti a rappresentare l’anima stessa, il cuore del viaggio. Vale anche per la vita.

Come ci ammonisce l’autore ricordiamoci, di tanto in tanto, che «siamo fatti di tempo. Quello che ci è assegnato per vivere e che cerchiamo di prolungare con le nostre convinzioni…Ogni cosa è un pretesto per sperare. Lo stesso vale per la nostra vita, che non si misura e non si apprezza se non alla luce dei giorni che passano e delle loro scadenze».

Così ci piace pensare, un po' come accadeva nelle civiltà contadine, che forse è meglio non buttar mai via nulla. Parentesi preziose incluse.

 

 

Data di aggiornamento: 18 Febbraio 2017