01 Aprile 2018

La luce della Pasqua

«Infine» Cristo è risorto! Questo è ciò che abbiamo bisogno di sapere, Non per lui, ma per noi. Perché, contro il buio pesto che a volte avvolge la nostra vita, abbiamo bisogno del sole sfolgorante del mattino di Pasqua.
vignetta Pasqua 2018

@ Je suis l'Autre

A ogni azione corrisponde una reazione uguale, per lo meno, o anche più forte, ma senz’altro contraria. Mi è venuto in mente che l’incredibile novità della Pasqua potesse essere riassunta da questa espressione. Che di per sé appartiene a tutt’altro ambito, alla fisica, dove è nominata come la terza legge della dinamica.

A un po’ di morte, uno sballo di vita in abbondanza: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). Dove i pugni si sono alzati per colpire, altre mani si sono aperte per donare. Quando gli uomini si sono vilmente nascosti dietro la loro giustizia, Dio è uscito allo scoperto, mostrando la sua misericordia. A domande che toccano il fondo, risposte che si innalzano al cielo. Contro il buio pesto e con ben poche speranze della notte, il sole sfolgorante del mattino di Pasqua.

Nel momento in cui un uomo sembrava ignominiosamente morire lì, su quella croce piantata alla periferia di Gerusalemme, tutti gli uomini ricominciavano a respirare a pieni polmoni. Direi addirittura che all’offesa perpetuata con accanimento, che ne dite?, piuttosto che la legge del taglione o il banale perdono che opportunisticamente ci serve solo a cavarcela a buon mercato, ha corrisposto il «benessere», gratuito e in abbondanza: Gesù non ci ha donato la sua morte, ma la sua vita! Altro noi non abbiamo, ma altro, tanto altro, impensabile altro, lui può.

E questa bella notizia, questo annuncio di salvezza, lo vorremmo sentir ancora risuonare, una volta o due... mila! Magari basterebbe chiarirci un po’ la grammatica e la sintassi. Per cominciare, recuperando il tempo verbale delle favole della nostra infanzia e che ancora raccontiamo a figli o nipotini: quel quieto imperfetto, il principe dei tempi narrativi secondo il grande scrittore francese Gustave Flaubert, che, a detta degli esperti, indica un’azione che è cominciata ma che pure continua. Grazie a cui ogni storia «c’era una volta» ma solo per dire «c’è ancora…». È successo un tempo ma affinché possa continuare a succedere per chiunque. Siamo stati capaci una volta di impaurirci davvero con Pollicino, di innamorarci con Rossella O’Hara in Via col vento, ci siamo commossi con il piccolo protagonista di Marcellino pane e vino, e indignati quando Anna Magnani veniva falciata da una sventagliata di mitra alla fine di Roma città aperta, neanche fossimo pure noi lì in quell’attimo; e non potremmo farlo ancora? Potrebbe il Risorto essere esperienza reale anche per noi, oggi?!

Non si tratta, forse, per rimanere nel campo della grammatica, di recuperare tutto il valore di un avverbio? Dopo tanto camminare, tante fatiche e dolori, tante disillusioni e sogni infranti, tanti amori che appassiscono e altrettanti che rifioriscono, tante passioni che si spengono o, pur ridotte a un lumicino, ancora scaldano le nostre giornate; dopo tanto vano scrutare l’orizzonte, tanta meraviglia per ciò che, inatteso, scopriamo accanto a noi o, non preannunciato, ci arriva all’improvviso tra i piedi della vita, non sentiamo il bisogno di un solenne «infine»? Avverbio piccolo e insignificante, eppur così ricco di futuro, che ogni tanto ci scappa nel nostro colloquiare e si insinua nei nostri ragionamenti, allorché stanno per volgere alla loro, più o meno felice, fine. Un avverbio senza particolari sussulti o rivelazioni, ma così commosso e pieno di nostalgia… 

Infine Cristo è risorto! Questo è ciò che abbiamo bisogno di sapere. Non per lui, ma prima di tutto per noi.

«La carne dell’uomo fiorì nel paradiso terrestre prima del peccato, sfiorì dopo il peccato, rifiorì però nella risurrezione di Cristo, “super fiorirà”, cioè fiorirà perfettamente, nella risurrezione finale» (sant’Antonio, La resurrezione del Signore).

 

Data di aggiornamento: 01 Aprile 2018
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