06 Dicembre 2016

Io, Daniel Blake

Il regista inglese Ken Loach racconta la storia di Daniel, uomo malato, senza lavoro né sussidio che assiste Katie, povera e affamata, madre di due bimbi, e come lui vittima delle pastoie burocratiche.

Dal film IO, DANIEL BLAKE di Ken Loach

I ricchi guariscono prima? Le probabilità di contrarre una malattia e di patirne i danni sono strettamente legate alla condizione socio-economica della persona, alla professione svolta, al reddito annuo, al grado d’istruzione, al luogo di nascita, alla capacità di reperire le informazioni giuste e di scalare le liste d’attesa, alla qualità della prevenzione offerta da un agiato stile di vita. Eppure non siamo tutti cittadini dello stesso rango, con la medesima dignità e i medesimi diritti fondamentali? Una decente, elementare, efficace assistenza sanitaria non è forse un’esigenza primaria e incomprimibile?

Ken Loach, regista britannico che aveva già denunciato i rischi sofferti dagli operai, a causa di una brutale privatizzazione delle ferrovie (Paul, Mick e gli altri è un suo film del 2001), offre agli schermi la lotta del carpentiere sessantenne Daniel Blake per difendere i diritti assistenziali che gli vengono negati da un sistema burocratico, impersonale e aziendalistico. La vicenda è ambientata a Newcastle, Inghilterra del Nord: lì c’è un inglese costretto ad elemosinare il pane dai banchi alimentari, come un alieno, un clandestino.

Il protagonista sembra dirci: io, Daniel Blake, cardiopatico, vedovo e senza figli, mi rivolgo a voi, spettatori di ogni rango, e vi chiedo solidarietà; non so usare il computer ma vorrei tornare a lavorare; non mi danno un sussidio, se non mi mostro attivo, ma i medici mi hanno sconsigliato lavori di fatica. Io aiuto Katie, single e madre di due figli, costretta a peregrinare per avere una casa popolare. A mia volta ricevo qualche aiuto, trovo qui e là persone squisite, generose. Ma non basta. E non è colpa mia, non sono uno sfaticato né un profittatore.

Che cosa si può fare di più, in casi come quello di Blake? Con chi dobbiamo prendercela? Con il mito neocapitalista? Con l’impotenza sindacale? Con la colpevole indifferenza dei “sani” o di chi può godere di benefici contrattuali speciali? Con i consulenti del lavoro che invitano a farsi furbi, a farsi notare, pena l’esclusione? Prevale l’indignazione per un assurdo destino di solitudine, e la fame diventa la figura istintuale, impertinente e oscena di un desiderio di liberazione. Katie mangia con le mani, vergognosamente, di nascosto, il cibo in scatola rubato da un mercatino solidale.

Il regista adotta forme di racconto essenziali, grezze, addirittura semplicistiche, al limite del moralismo. La recitazione è quasi improvvisata, spontanea, neorealistica. La vicenda gli interessa di più della sperimentazione stilistica. La macchina da presa segue da vicino le vicissitudini di un povero e ne restituisce lo sguardo attonito. L’obiettivo fotografico è lento accompagna i personaggi con una pazienza che viene negata dalla società del consumo.

Il cinema sul lavoro parla del lavoro del cinema. Senza sconti. Senza maquillage. Senza effetti speciali. È già speciale stare al mondo.

Io, Daniel Blake, GB/F/Belgio 2016, regia di Ken Loach, con Dave Johns, Hayley Squires, Sharon Percy, Briana Shann, Dylan McKiernan. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

Articoli Consigliati

La vigna

09 Ottobre 2016 | di
Lascia un commento che verrà pubblicato