Indigenti attenti, l’aiuto dal basso

Sono laureati ma senzatetto, pieni di risorse ma poveri. La vita li ha portati sulla strada, ma anziché abbattersi si sono messi insieme. Per aiutare chiunque a riscoprire la propria dignità.
25 Novembre 2014 | di

Li chiamano barboni, pezzenti, vagabondi, clochard, indigenti, homeless, senzatetto, senza fissa dimora. Sono dei «senza», dei mancanti. Poveri. Di mezzi certo, ma anche – ed è forse meno evidente a chi fa scivolare su di loro uno sguardo tra l’indifferente e l’infastidito – di relazioni. Mille sono i motivi che li hanno portati a vivere per strada, ma spesso la solitudine è uno di questi. Insieme causa ed effetto. «Sono solo» – non so dove sbattere la testa, a chi rivolgermi per un aiuto, senza una rete parentale o amicale vera che mi sorregga – e quindi approdo sulla strada; «sono sulla strada», e quindi solo, senza nessuno su cui contare. Ribaltare questo crudele cerchio di solitudine, che può portare alla disperazione, non è facile. «Non tutti hanno gli strumenti culturali, psicologici e spirituali per reagire. Per quello ci siamo messi insieme, in gruppo, per darci speranza».

A parlare è un uomo che chiameremo Luciano, in nome dei circa trecentocinquanta senza fissa dimora che compongono un’associazione del tutto particolare, Indigenti attenti. Un’iniziativa dal basso, nata da gente di strada per gente di strada, ma che dà da pensare anche a chi una casa ce l’ha. C’è un motto («Meno Caritas e più dignitas»); c’è una spiritualità cristiana incarnata, che fa della preghiera il motore dell’azione; c’è una sorta di statuto; c’è una PostePay di riferimento, la cassa comune dove tutto viene rendicontato, fino ai centesimi (la gestisce un bocconiano senzatetto); c’è soprattutto un gruppo base di persone che «nonostante una laurea e in alcuni casi un master, si sono ritrovate a vivere nella condizione di senza dimora a causa della crisi in corso da tempo», come si legge nello statuto. Che spiega la genesi di Indigenti attenti: «Frequentando la gente “della strada”, ci siamo accorti che ci sono tanti furbetti, molti che si sono arresi e adattati, ma c’è anche chi non vuole pensare di non potersi rialzare. Molti non hanno le basi culturali e le conoscenze per fare richieste, cercare soluzioni o richiedere cure, perché la strada porta presto a sviluppare problematiche psicosomatiche e psicologiche, tra queste la più frequente è la schizofrenia, facile da sviluppare e difficile da sconfiggere». Così, chi ha… dà, mette a disposizione. In vista della dignitas di cui sopra. «Viviamo alla pari con i più poveri, senza paure, perché se il Padre nostro provvede agli uccelli che non lavorano, provvederà certamente meglio a noi che siamo i suoi figli». Figli che, anche grazie all’associazione, scoprono di non essere poi così «unici», soli, come si erano forse pensati.

La questione «figli unici» introduce a pennello la vicenda di Luciano, poco più che cinquantenne, unico figlio di una coppia di figli unici, e ultimo rimasto della sua famiglia. Quella da senza fissa dimora è solo la più recente delle sue vite: scorrendo l’album delle fotografie, ci sono scatti che lo ritraggono in situazioni normali di una vita qualsiasi. Interrotta all’improvviso dalla malattia del padre e poi della madre. «Papà l’ho assistito io, ma con la mamma, per tutelare la sua dignità di donna – confida –, ho preferito affidarmi a due infermiere che si turnavano giorno e notte. Dopo quattro anni così, i risparmi di una famiglia come la nostra, intorno agli 80 mila euro, svaniscono… Quando ho seppellito la mamma era rimasto solo il necessario per le ultime bollette. Ho resistito per un po’, con impieghi saltuari: quattro mesi nel 2012, nemmeno uno nel 2013. Così mi sono trovato per strada».
 
Indigenti sì, ma attenti
La storia di Luciano è paradigmatica di quanto accade a tanti. E la strada te lo insegna. «Certo – racconta il nostro interlocutore –, ci sono i senza dimora fannulloni che pensano che tutto sia loro dovuto. Ci sono anche i furbi, ma sono sempre meno, per via della crisi. Poi ci sono stranieri che non sono riusciti ad adattarsi. Ma la gran parte dei senza dimora sono persone che avevano una professione, spesso anche una famiglia, e hanno delle capacità, come pure la voglia di tornare a riprendersi la loro vita, se solo venisse data loro la possibilità di farlo».

Ed eccoci a quell’ingombrante motto, «Meno Caritas e più dignitas». Il riferimento non è alla Caritas in quanto tale, ma a un certo stile assistenziale che non aiuta a emancipare dalla condizione di indigenza chi vorrebbe trovare una via d’uscita, e parallelamente ingrassa chi sulla povertà vuole speculare, dall’alto (come avviene per certi progetti poco trasparenti che aiutano tutti tranne i poveri) o dal basso (con i tanti furbi che si riem­piono le tasche approfittando del buon cuore della gente). Spiega Luciano: «Noi di Indigenti attenti stiamo all’erta, chiedendo conto a certi “professionisti del sociale” dei finanziamenti che ricevono e di come li utilizzano, molto concretamente esigendo i bilanci e facendo le pulci alle spese. Dall’altra parte, siamo i primi a smontare certi processi che magari nascono con le migliori intenzioni, ma non portano a niente di buono». Un esempio? Una comunità di suore elargiva ad alcuni senza tetto, periodicamente, un centinaio di euro. Per anni. Gli Indigenti attenti, venuti a conoscenza della situazione, invitarono la superiora a fare con loro un giro dalle parti della stazione, per vedere di persona dove andava a finire la beneficenza. Le banconote, cambiate in monete, andavano a «beneficare» le slot machine e i rispettivi esercenti! «Abbiamo suggerito alle suore di cercare i “veri” poveri altrove…».

Meno Caritas significa allora meno assistenzialismo e più attenzione alla persona. Meno aiuti a pioggia e più interventi mirati. Esempi che funzionano bene, poi, ci sono eccome. Luciano ne mette in fila alcuni, in una speciale classifica: «La Caritas diocesana di Rovigo è sana, e poi c’è quella di Lucca, con il suo vescovo in prima linea, e ancora Venezia, Pesaro, Pistoia, Parma, Napoli. Infine, una menzione speciale per una Caritas parrocchiale, quella di Cattolica (RN), davvero seria e attenta. Lì c’è Francesco, un vigile urbano che da qualche anno segue il centro di accoglienza notturna. Di lì sono passate persone che stavano messe proprio male. Francesco se n’è preso cura, e saranno ormai una trentina quelli che oggi hanno un lavoro, una casa, qualcuno anche una famiglia… Che cosa hanno fatto Francesco e gli altri di quella Caritas? Semplicemente hanno ridato dignità a quelle persone. Questo ci vuole». 

Sono tosti, questi di Indigenti attenti. Combattivi. Spigolosi anche, ma onesti. La loro ruvidezza fa parte del pacchetto, prendere o lasciare. Ma anche per questo sono apprezzati, e vengono chiamati su e giù per l’Italia per consulti o per risolvere situazioni spinose. I circa trecentocinquanta associati fanno da sentinelle per segnalare eventuali eccellenze ed eventuali disagi. «Quando qualcosa non va, scatta la richiesta d’aiuto. Noi andiamo e, se c’è qualcosa che può essere migliorato, cerchiamo di farci voce del disagio. Se invece ci rendiamo conto che non c’è nulla di che lamentarsi, lo facciamo presente, facendo ragionare chi di dovere…». Quando azzardo che sembrano quasi dei «sindacalisti dei senzatetto», Luciano si schermisce, «perché noi non sindachiamo niente, diciamo solo come la pensiamo», ma forse il paragone aiuta a rendere l’idea dello stile sano degli «attenti». Luciano confida di avere un sogno: «Come associazione vorremmo tanto incontrare papa Francesco, anche per cinque minuti soltanto. Sono sicuro che ci capiremmo al volo circa lo stile che deve avere la solidarietà».

La storia dell’associazione, in realtà, si racchiude in un lasso di tempo di poche manciate di mesi, ma può già vantare una serie di bei risultati. Come la proficua collaborazione con l’associazione Eskénosen, di Como, gruppo di famiglie aperto all’accoglienza di altre famiglie in difficoltà. Tutti i risultati, comunque, sono legati da un fil rouge: anche tra i senza fissa dimora non tutti i poveri sono uguali, c’è sempre qualcuno di più povero da andare a scovare e aiutare. Quanto avvenuto lo scorso dicembre lo testimonia, come racconta Luciano: «Eravamo entrati in contatto con un tale, un notaio. Dopo averci ascoltati, decise di prenderci sul serio. Ci diede in mano 10 mila euro, lasciandoci liberi di farne ciò che volevamo. Senza vincoli. Poteva aspettarsi che ce li dividessimo noi quattro del coordinamento, e che andassimo a farci una bella vacanza invernale, visto che eravamo in dicembre. Invece pensammo a un pranzo di Natale per tutti. Ma dove? Così decidemmo di farlo… in tutta Italia.

Cominciammo a spargere in giro la voce tra gli indigenti: “Conoscete una famiglia che a Natale fatica a mettere insieme il pranzo con la cena?”. Ne individuammo sessantacinque, da Nord a Sud. Le incontrammo una a una, consegnando loro 150 euro con due indicazioni precise: “Usate questi soldi per la spesa del pranzo del 25, poi trovate un povero, uno che vedete sempre chiedere la carità, e invitatelo a casa, a sedersi alla vostra tavola”. E così è successo! C’è stato perfino chi, avendo speso solo 138 euro, ci ha rimandato indietro i 12 euro di resto…

Non siamo riusciti ad avere un ritorno da tutte le famiglie, ma alcune situazioni ci hanno davvero colpito. Come il caso della famiglia di copti egiziani rifugiati in Italia che aveva invitato un musulmano. Era tutto pronto, ma nella notte del 24, in Nigeria, ci fu un terribile attentato contro i cristiani. Così, su proposta dell’ospite musulmano, nella casa dei copti si digiunò e si pregò insieme per tutto il giorno di Natale, e poi, ancora insieme, si festeggiò il 26. Altro episodio riguarda due anziani che volevano invitare due ragazzine rom che vedevano sempre fuori dalla chiesa. Noi eravamo perplessi e preoccupati, perché temevamo ci potesse scappare il furto… Invece le due ragazzine sono andate, hanno aiutato a preparare il pranzo e a rassettare dopo, e adesso ogni sabato mattina vanno a dare una mano all’anziana coppia: puliscono la casa, fanno la spesa e stanno in compagnia. In compenso, di tanto in tanto le due vengono fermate per qualche furto, ma mai nella casa di quella famiglia che le ha ospitate! Se noi diamo il buon esempio, la gente poi ci viene dietro». E questo Natale rifarete lo stesso? «Eh, non credo proprio. In cassa avremo sì e no 30 euro…». Forse Indigenti attenti non riuscirà a riproporre il suo Natale speciale, ma… chi non conosce qualche povero? Chi, magari stringendosi un po’, non troverebbe un posto alla propria tavola?

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017