Il Santo delle piccole cose

Brive, più di mille chilometri da Padova. Poco dopo la morte di sant’Antonio pellegrini iniziano a pregare nei luoghi dove il Santo aveva trascorso appena un’estate. Otto secoli dopo sorgono una grande chiesa, un albergo, una fraternità francescana.
08 Ottobre 2015 | di

Frère Michel, 57 anni, canticchia una filastrocca: «Saint Antoine, grand voleur, grand filou, rendez c’est que n’est pas à vous», vale a dire, «Sant’Antonio grande ladro, grande furbo, restituisci quello che non è tuo». Michel è il Provinciale dei frati minori di Francia e Belgio e ha una risata fragorosa. Mi sono seduto accanto a lui per saperne di più di questo sant’Antonio di Francia. Anzi, di sant’Antonio di Brive. Avevo lasciato il Santo a Padova e lo ritrovo in eccellente salute qui, nel Sud-ovest francese, dipartimento della Corrèze, tra Limoges e Tolosa. Nella Francia, dalla storia laica, segnata da scontri feroci tra religioni e tra Stato e Chiesa, trovo una bella folla di pellegrini che, ogni anno, arrivano a Brive per sfiorare la sacralità di Antonio.

Brive è Brive-la-Gaillarde. Brive, la Gagliarda. Nome d’orgoglio. Città piccola, cinquantamila abitanti. Economia mercantile e agricola. Nel Sud della Francia, Antonio, predicatore francescano, arriva nel 1224. È Francesco che lo invia. Sono tempi osceni. Anni di vendette e odio religioso. Meno di venti anni prima, papa Innocenzo III aveva dichiarato una crociata di cristiani contro cristiani, la Chiesa del Medioevo cattolico contro l’eresia dei catari, integralisti di una religione di estrema «purezza». Guerra di religione che nasconde conflitto di poteri e ricchezza: il Nord della Francia contro il Sud. Il sangue scorre nei cammini percorsi da Antonio. Danik, 56 anni, frate a Brive precede la mia inquietudine:«Antonio sfidava l’eresia. Con durezza. Ma usava solo la parola». Si scagliò contro la corruzione di vescovi e preti cattolici. La crociata terminò solo nel 1229. I catari furono sterminati.

Antonio, nel Sud della Francia, viaggia, predica, fonda scuole teologiche. A Montpellier, a Tolosa, a Bourges. È guardiano a Puy e custode a Limoges. E, infine, eremita a Brive. Qui, alla fine dell’estate del 1226, dopo due anni di tensioni, trova un rifugio di pace. Appena fuori dalla città, vi sono quattro grotte. Semplici ripari di roccia. Ovili per pastori medioevali. Umidi, pareti di muschi e felci. Ci sono l’acqua, il silenzio, la foresta, la natura, la solitudine. Antonio vi passerà alcune settimane. Un tempo sufficiente perché la sua memoria rimanga, per sempre, nel cuore della gente di Brive.

San Francesco muore nel 1226. Antonio rientra in Italia. È grande la fama delle sue prediche. Compie miracoli, affascina. Muore nel 1231. Appena un anno dopo sarà canonizzato. E a Brive, mille e più chilometri lontano da Padova, cominciano subito a venire pellegrini a pregare nei luoghi dove il Santo aveva passato appena un’estate. Otto secoli dopo, qui, ai confini di un bosco, sorgono una grande chiesa, un albergo, una fraternità francescana. Ci vivono sei frati. Cinquantamila persone, ogni anno, si fermano alle Grottes de Saint Antoine.

Per cercare di raccontare questa storia, metto assieme immagini diverse dei miei giorni (belli e piacevoli) a Brive. Quasi un non-diario.

L’acqua, i bigliettini, il bosco, le candele

Il parco del santuario, cinque ettari di bosco (querce, abeti, tigli…), ai confini di Brive, è sempre aperto. È un luogo di pace. «È un altrove», mi dice una donna. Uomini e donne, a ogni ora, vengono con bottiglie vuote. Nella grotta dell’acqua vi è una sorgente. Acqua santa? Alcune donne discutono. Raccontano di guarigioni miracolose. L’acqua è buona e fresca. Si fanno scorte per casa. Si viene alle grottes per passeggiare, portare il cane a spasso, far giocare i bambini, bere, sedersi al fresco nei giorni dell’estate. Le grottes sono un luogo bello.

Si accendono grandi candele. Si prega, si chiacchiera. Si lasciano bigliettini nelle fessure della roccia porosa. S’invoca la grazia contro le malattie oppure per il lavoro, l’amore, la scuola. Al martedì, durante la «Messa di sant’Antonio», alcuni di questi messaggi vengono letti in chiesa.

Pie donne, cantori, danzatori Parlo con alcune pie donne. Monette, Marguerite, Maria, Christiane, Elène. Dicono: «Sant’Antonio compie miracoli. È il Santo più amato. E poi ha portato qui i frati». E ancora: «I miei vicini non sono religiosi, ma vengono alle grotte». Sorridono: «Sant’Antonio è bello».

Ho passato pochi giorni a Brive, ma ho fatto in tempo ad assistere a storie magnifiche: cristiani ferventi, con frère Michel come insegnante, danzare balli ebraici attorno all’altare. E poi: una mattina entro in chiesa e c’è un’orchestra, schierata sul presbiterio, che suona Vivaldi. Il direttore è un folletto con grandi bretelle nere. Un pomeriggio arriva anche un ingegnere-agronomo: ci accompagna nel bosco e ci parla degli alberi, delle lumache. Ripete: «La vita è bella». Mi appare come un san Francesco dei licheni. Ha ragione chi sostiene che le grottes de Brive sono un altro mondo. Imprevedibile. Queste persone mi appaiono come tanti, gioiosi sant’Antonio contemporanei.

Eppure… eppure il Santo è sconosciuto in Francia. Frère Eric, padre guardiano, 52 anni, mi confessa: «Non ne sapevo niente, fino a quando non sono venuto qui». A tavola, con gli ospiti del santuario, sono in molti ad ammettere di non aver mai conosciuto prima la figura di sant’Antonio. Frère Josè mi dice che, nei noviziati, non si studia. Una donna mi spiega: «Mi rivolgo a lui, quando perdo qualcosa». Già, questo è uno dei «miracoli» che qui il Santo compie (e non solo qui a dire il vero...).

Cipolle, libri rubati e la mula Mi piacciono i piccoli miracoli di Antonio in Francia. A Tolosa una mula affamata ignora il fieno e s’inginocchia davanti all’altare (la stessa cosa è accaduta anche a Rimini...). A Brive, i frati sono senza mangiare, una donna va nell’orto a raccogliere verdure per loro. Scoppia un temporale, ma lei arriva al romitorio senza essersi bagnata. È il miracolo delle cipolle. Che viene ricordato a fine estate: è il giorno di una grande fiera dove si scambiano prodotti agricoli. Ancora: un giovane frate fugge dal convento, porta via con sé un libro prezioso per Antonio. Una forza misteriosa lo ferma, lo costringe a restituire il volume. Per questo, in Francia, sant’Antonio è il santo degli oggetti perduti. Ci si rivolge a lui per ritrovare un orecchino, un cellulare, le chiavi di casa. Santo dei piccoli miracoli. Della quotidianità. Una donna cerca un varco nella mia perplessità: «Chi perde la fede, può chiedere al santo un aiuto per ritrovarla». E ancora: «Una donna è venuta per anni a Brive: lei ha ritrovato un figlio disperso in guerra».

Ostinazione, tenacia, Resistenza «I francescani sono legati a questo luogo – mi dice frère Michel –. È Antonio che ci ha condotto qui». Leggo la storia, complessa e difficile, del santuario di Brive: la prima cappella venne costruita attorno al 1330. Le guerre di religione francesi, calvinisti contro cattolici, lasciarono scie di sangue in queste terre. Nel 1565 le grottes furono saccheggiate, il convento distrutto. Ma, un secolo dopo, i francescani tornarono a Brive. La Rivoluzione passò come una tempesta: nel 1793, il Terrore di Robespierre devastò ancora una volta il santuario. Ma settant’anni più tardi, qui nacque la prima fraternità francescana di Francia. Ripresero i pellegrinaggi.

1903, questa volta è lo Stato francese a cacciare i frati: gli ordini religiosi vengono dissolti, è la brusca rottura tra la Repubblica e la Chiesa. È la laicità della Francia. Nel 1915, i frati tornano ancora una volta.

Storia ostinata, tenace, cocciuta. Negli anni crudeli del nazismo, il convento di sant’Antonio nasconde partigiani ed ebrei. Nelle celle dei frati si organizza la liberazione di Brive. Una colonna delle SS tedesche si ferma alle porte del santuario. Un frate alsaziano va a parlare con il loro comandante. Se ne vanno. Per la gente di Brive è un altro miracolo del Santo. La città sarà la prima a essere liberata. Nel 1947, una grande statua di Antonio viene eretta sulla collina del santuario. Il Santo protegge la città. Ora capisco: «Sant’Antonio è Brive». Saint’Antoine de Brive.

«In Francia vi è chi considera sant’Antonio solo come un santo popolare – mi avverte frère Eric –. Gli intellettuali lo ignorano. A Brive ho imparato a conoscerlo: sono stati i pellegrini ad aiutarmi. Ho visto la loro devozione». «Trent’anni fa avevo a cuore l’ecologia – ricorda frère Danik –. Lavoravo in banca e pensavo alla natura. Ho scoperto san Francesco, sono diventato frate. A Brive, ho ritrovato la natura. Questo luogo è un miracolo di sant’Antonio». Frère Michel ha vissuto qui due anni: «Anni bellissimi. La natura, la spiritualità, Antonio. Ho immaginato Francesco che danza con un ramo in mano».

Non ho incontrato Fabrice, non era in città. È tra i responsabili degli Amici di sant’Antonio, associazione laica che aiuta i frati. Fabrice non è cristiano. Leggo le sue parole in un’intervista: «Sant’Antonio è un luogo. I frati, qui, hanno creato una terra di libertà».  

INFOLe Grotte di Sant’Antonio a Brive

Brive, comune del dipartimento della Corrèze, si trova a metà strada tra Limoges e Tolosa. Il santuario di Sant’Antonio è all’uscita della città, lungo la strada Nazionale 20. Attorno alle grotte, alla chiesa e all’albergo (un unico edificio) vi è un parco di cinque ettari.

41, Avenue Edmond Michelet 19100 Brive-la-Gaillardetel. 0033 (0)5 55 24 10 60sito: www.fratgsa.org

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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