Il gioielliere di Phnom Penh

Igino era al culmine del successo professionale quando ha deciso di lasciare l’Italia per la Cambogia. Oggi crea gioielli dalle mine e trasforma in orefici i ragazzi di strada. Nel 2014 ha chiesto a Caritas Antoniana di far parte del suo laboratorio.
21 Dicembre 2015 | di

L’uomo semplice e dal sorriso buono che mi sta di fronte è un grande gioielliere, uno dei più bravi del distretto dell’oro di Vicenza. Un designer ricercato, che conta numerose apparizioni nei programmi Rai e nei giornali di settore. Igino Brian è uno «arrivato», insomma, almeno secondo i canoni comuni. Poi un giorno di dieci anni fa chiude il suo laboratorio e la sua casa italiana, impacchetta le macchine e si trasferisce a Phnom Penh, capitale della Cambogia, uno dei Paesi più poveri del Sud-Est asiatico e del mondo. Che cosa è successo? Nuova manifattura delocalizzata nei Paesi del Sud del mondo? Macché, il suo è uno dei rari casi di delocalizzazione del talento. Il fine? Trasformare giovani vite buttate nelle discariche della capitale in pezzi unici, più preziosi dell’oro. Nel 2014 chiama tutti i sostenitori di Caritas Antoniana a far parte del suo laboratorio.

Che cosa l’ha portato a una scelta così radicale? «Calma – ammonisce – non è mica stato così semplice!» e racconta che vent’anni prima aveva fatto, insieme con la moglie, un’esperienza di volontariato in Cambogia con i salesiani: «È in quell’occasione che abbiamo conosciuto il bambino che è diventato poi nostro figlio». Ma per uno salvato, erano centinaia i piccoli senza futuro. Un pensiero ingombrante, che però lentamente penetra nella sua vita. «Abbiamo iniziato a sostenere più bambini, inviando denaro dall’Italia. Ma non era mai finita. Se non si cambia la situazione non si fa che creare una catena di dipendenza estenuante e senza sbocchi». Igino continua a ruminare un’idea scomoda: «Quei ragazzi hanno bisogno di una prospettiva. Io sono un gioielliere, posso donare loro tutto quello che so fare». Resiste per dieci lunghi anni, Igino, a questa ipotesi quasi pazzesca, troppo grande e troppo rischiosa. Ma niente da fare: è come se avesse una molla in pressione nel cuore: «Non so spiegarlo, è stata come una chiamata, un qualcosa che cresce dentro. A un certo punto devi dire “sì” o “no”, inutile trovare scuse».

Un laboratorio vicino alla discarica Igino dice «sì», senza «paracadute», senza associazioni alle spalle, senza stipendio pagato e futura pensione. Chiude i battenti e si trasferisce con la famiglia. Apre una scuola di oreficeria al limite di una discarica a Phnom Penh, un cumulo fumante di diossina, pieno di liquami nauseabondi sotto il sole cocente, su cui s’inerpicano bambini, donne, vecchi in cerca di pezzi buoni da rivendere. In questo inferno inizia a costruire il suo scampolo di paradiso, un diamante minuscolo incastonato nel fango.

«Ho preso con noi una ventina tra ragazzi e ragazze di strada e abbiamo iniziato a lavorare con il materiale e i macchinari che trovavo in loco». Quello che aveva in mente Igino, però, era qualcosa di più: «Ero venuto per formare dei professionisti, non potevo fermarmi a metà. Solo perché son poveri ti accontenti?» mi domanda con gli occhi sgranati in un bagliore di azzurro-verde. Chiede aiuto, Igino, ai suoi ex colleghi e gli arriva un container di vecchie macchine da oreficeria: un lusso. Iniziano a lavorare l’argento, ma presto si accorgono che c’è un altro metallo che si trova – purtroppo – in abbondanza e a poco prezzo: è l’ottone dei bossoli, delle bombe, dei mortai e delle mine antiuomo delle tante, troppe guerre cambogiane. E finalmente lo scampolo di paradiso prende forma. Gioielli e crocifissi escono dalle armi, mentre i figli di nessuno diventano orefici. È l’abominio trasformato in bellezza. Non c’è metafora più grande.

«Si stima che in Cambogia ci siano dai 6 ai 10 milioni di mine sotto terra e nessuno sa dove si trovino perché non ci sono più le mappe. Anche ora, in questo momento, mentre stiamo parlando, qualcuno in Cambogia sta saltando in aria su una mina» conclude. Non parla di politica Igino. È uno concentrato a fare la sua parte. Ma basta solo aver voglia di sapere, per scoprire che la Cambogia è un Paese dilaniato, in preda alla guerra civile, le cui risorse sono in mano a vari colonizzatori stranieri occidentali e asiatici. Un Paese giovane, senza quasi accesso alla sanità, devastato dall’Aids e senza prospettive per i ragazzi. Ce ne sarebbe abbastanza per arrendersi e invece Igino rilancia: «Alcune delle nostre vecchie macchine erano rotte e non avevamo i soldi per ripararle. In più ci serviva un impianto di galvanica, per aggiungere un processo di verniciatura che rifinisce i gioielli ed evita l’annerimento del metallo». Con gli strumenti a posto e il nuovo impianto i giovani orefici avrebbero governato l’intero processo di produzione, garantendosi un maggior guadagno alla vendita.

Con questa proposta il gioielliere di Phnom Penh atterra in Caritas Antoniana: è l’ottobre del 2014. Un anno dopo, a fronte di un finanziamento di 10 mila euro, è qui a dirci che è fatta: «Adesso, grazie a voi, abbiamo tutto ciò che ci serve per lavorare con qualità. E così con i ragazzi ho fondato un’associazione locale, “Education for the future”: ora voglio che siano loro a gestire la scuola, che prendano altri ragazzi e li facciano crescere». I gioielli della scuola sono oggi nel circuito del Commercio equo e solidale: con il ricavato della loro vendita viene finanziata la casa famiglia nella quale vivono i ragazzi e si pagano le cure mediche.

Dove trovi la forza per tutto questo, Igino? «Non viene da me, mi conosco, da solo non avrei superato tutte le difficoltà incontrate. Ma io l’ho vista, sai, la mano di Dio ogni volta che ne avevo bisogno». E mi racconta un aneddoto che ha dell’incredibile: «Una delle ragazze della mia comunità era finita a prostituirsi per comprare le medicine per la mamma. L’ho cercata e l’ho trovata in un locale. La prima sera sono andato, ho pagato e l’ho portata via. La seconda sera ho fatto altrettanto. E allora lei mi ha detto: “Salvami. Portami a lavorare con te”. Ho detto “sì”, ma non avevo i soldi. Tornato a casa, ero in angoscia. Non riuscivo a dormire. Proprio in quel momento mi è arrivato un sms dall’Italia. Un amico mi informava che aveva fatto un assegno. L’importo era esattamente la quota che mi serviva per pagare la ragazza per un anno. Non sai quante volte mi è successo. Io mi fido, faccio il primo passo e poi Lui mi segue. Funziona sempre così». Nulla è mai a perdere, fa capire Igino non senza qualche pudore: il «Grande orefice» modella la vita. «In Cambogia ho scoperto ciò che è davvero importante per un essere umano. Non hai idea di che cosa ti donano quelli che non hanno nulla da perdere! L’altra sera, prima di venire in Italia, mi sono appoggiato sullo stipite della porta e li ho guardati mentre lavoravano. Ora sono dei professionisti veri – mi sono detto –. Che grande, infinita gioia!».

IL PROGETTO IN BREVE

Progetto: – riparazione di 6 macchine per oreficeria: centrifuga per fusione, macchina per trafilare, buratto a legnetti, bilanciere per stampare, eccentrica per battere filo e saldatrici ad alcol – acquisto impianto di galvanicaDurata: ottobre 2014 – ottobre 2015Contributo: euro 10 mila

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
Lascia un commento che verrà pubblicato