22 Ottobre 2018

Il filo fantasma

La relazione tra un noto stilista e la sua modella si tinge di giallo quando emergono gli spettri del passato. «Il filo nascosto» (Usa 2017) riflette sul concetto di cura dell’altro e sulla «riplasmazione» di se stessi.
Un dettaglio tratto dalla locandina del film «Il filo nascosto».
Un dettaglio tratto dalla locandina del film «Il filo nascosto».
UPIMEDIA

Phantom thread, Il filo nascosto (letteralmente: Il filo fantasma) s’intitola il recente film di Paul Thomas Anderson, che narra la trasformazione morale di un grande sarto e stilista inglese del secondo dopoguerra, Reynolds Woodcock (l’attore Daniel Day-Lewis), ossessivamente devoto al proprio lavoro, perfezionistico nelle sue creazioni (che conquistano le migliori clienti dell’aristocrazia e borghesia europee), ma bloccato in un narcisistico autocontrollo, isolato come in un chiostro nella sua splendida casa-laboratorio, impermeabile all’innamoramento, paurosamente legato al ricordo della madre scomparsa e infantilmente dipendente dalla sorella Cyril (Lesley Manville), che organizza l’equipe di sartoria (composta di sole donne), promuove i contatti di mercato e asseconda i rituali maniacali di un genio esasperante e crudele.

La conversione avviene grazie a una cameriera, Alma Elson (Vicky Krieps), conosciuta per caso in un albergo della costa e subito adottata come una nuova modella, desiderata per i tratti corporei (alta, piccoli seni, largo bacino, lieve pancetta) e per la vitalità del suo sorriso, per il portamento carico di dignità, per la delicata disponibilità a lasciarsi prendere le misure e rivestire di magnifiche stoffe. In un fugace corteggiamento lui la ospita nella dimora londinese, la alloggia accanto alla propria stanza, ma poco alla volta la dimentica, la relega a compiti sartoriali, la costringe a una logorante convivenza a tre con la sorella, ne soffoca la gioiosa spontaneità.

Alma protesta: pretende di accostare Reynolds in un contesto riservato, in cui i sentimenti possano essere espressi e le rigide regole familiari adattate alle esigenze di una coabitazione felice e del gioco amoroso. Ti voglio mio, inerme, bisognoso, sensibile alla mia passione per te. Ma esigo anche la tua iniziativa, desidero che tu risponda ai miei appelli, rompendo il silenzio ascetico e prendendoti cura, con me, della nostra casa. Una casa muore, se non cambia. Un vestito, per quanto perfetto nel taglio, diventa uno straccio volgare se non è indossato con dignità, se non è illuminato di un’originale voglia di vivere.

Il patto sponsale va immaginato e siglato partendo dalla storia di un innamoramento gradito e sorprendente, che assomiglia a una guarigione inattesa dal morbo dell’individualismo e dell’autarchia. Bisogna mettere in conto il disagio, la fatica di cambiare, persino una misteriosa intossicazione, se finalmente ci si espone, si accetta di dipendere dai sogni dell’altro, si impara a desiderare che l’altro ci vesta dei suoi desideri, ci copra col suo velo sacro. Alma minaccia la rottura e scompiglia i freddi rituali della devozione al maschio padrone, perché vuole amore e non rispetto. Rispetto è un’altra parola di cui l’etica contemporanea abusa.

La cura dell’altro è ben più di una semplice non-interferenza. Si rispetta un vestito se non lo si sporca o sgualcisce, ma quel tessuto incanta se è indossato a una festa, se è animato nella danza, se rabbrividisce di seduzione. Come nel mestiere di vivere, l’arte della sartoria prende decisioni (decidere come de-caedere, tagliar via), fa uso della forbice e dell’ago al tempo giusto, annoda il filo e lo rinsalda, perché un vestito dia riparo nel tempo della prova. Il cinema stesso è un filo di senso, che lega eventi e personaggi. Il cinema confeziona per noi, che crediamo alle storie, un vestito nuovo. Questo vestito nasconde tra le sue pieghe il nostro nome, la cifra di un destino elegante e felice. Il vestito crescerà con noi, come una seconda pelle, come il desiderio di una rinascita, sconosciuta a noi stessi.

 

Data di aggiornamento: 22 Ottobre 2018
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