Il contadino che sconfisse Hitler

75 anni fa Franz Jägerstätter, oggi riconosciuto martire e beato, veniva decapitato a Berlino. Con la sua lucida testimonianza francescana aveva dimostrato la netta incompatibilità tra nazismo e cristianesimo.
28 Ottobre 2018 | di

«Il caso Jägerstätter è incredibile» dichiara in video il giornalista del Tg1 Rai nello speciale Tv7. «Franz aveva fatto soltanto le elementari. Non aveva letto Gandhi. Non sapeva nulla dell’obiezione di coscienza. Come può un padre di famiglia maturare in assoluta solitudine una rivolta morale, una testimonianza così eroica?». Quella puntata del 1989 (di Paolo Giuntella ed Ennio Chiodi) rivela per la prima volta in Italia al grande pubblico televisivo la figura del contadino austriaco, cattolico, sposo e papà di tre figlie, condannato dal Reich alla decapitazione giusto 75 anni fa, venerato dalla Chiesa come martire e dal 2007 come beato. Proprio l’anniversario è l’occasione per avvicinare la sua particolarissima figura, oltretutto nell’imminenza dell’uscita nelle sale cinematografiche di Radegund, l’atteso film biografico firmato da Terrence Malick, regista del pluripremiato The Tree of Life (Usa 2011). Il titolo è l’abbreviazione del toponimo Sankt Radegund, allora come oggi piccolo villaggio rurale al confine con la Germania, stessa distanza in linea d’aria da Linz a est e da Monaco di Baviera a ovest (e 30 chilometri da Braunau, paese natale di Hitler…).

Dura la vita da queste parti, a inizio secolo scorso. I genitori di Franz (classe 1907) non hanno nemmeno il necessario per sposarsi, così il bimbo è affidato alle cure della nonna fino ai 10 anni, quando mamma Rosalia (il papà è morto in guerra nel 1915) si sposa con Heinrich Jägerstätter, proprietario di una piccola fattoria. Franz prende il suo cognome e col tempo lo sostituirà nell’attività di famiglia. Inizia una nuova vita: il ragazzo è brillante e vivace, fino all’eccesso. Passa pure qualche notte in prigione, arrestato per rissa. «Non è un provocatore, ma non si tira indietro quando viene provocato» sintetizza Cesare G. Zucconi in Cristo o Hitler? (San Paolo 2008).

Franz è un buon partito, ama divertirsi, è il primo in paese a possedere una moto. La sua curiosità lo spinge a uscire, va a lavorare in miniera, lontano da casa. A contatto col mondo operaio, la sua fede vacilla, non più «protetta» dall’ambiente tradizionale. Scriverà poi alle figlie: «Posso dirvi per esperienza personale quanto sia penoso essere un mezzo cristiano: è più un vegetare che un vivere». È un periodo travagliato, nel quale le domande si rincorrono. Alcune risposte arrivano solo al rientro in paese. La svolta ha un nome, Franziska, che in breve diviene sua moglie e nel tempo la madre delle loro tre figlie. Siamo nel 1936, e già sull’Austria soffia il vento nazista che da lì a poco, nel marzo 1938, si trasformerà in uragano con l’anshcluss, l’annessione alla Germania, e l’inizio del conflitto mondiale.

Nel gennaio del ’38 Franz fa un sogno, l’unico registrato nei suoi diari. Vede «un bel treno» nel quale in tanti fanno a gara per entrare, tra cui «un gran numero di ragazzi», al punto che «non si riusciva quasi a fermarli». Ode «una voce» che rivela: «Questo treno conduce all’inferno». Svegliatosi di soprassalto, racconta il tutto alla moglie. Poi annota: «All’inizio questo treno che correva mi risultava piuttosto misterioso, ma più passava il tempo più si svelava il suo significato. (...) Per dirla in breve era tutta la compagnia nazionalsocialista». Nel quaderno, questa pagina riporta il titolo Sul tema più attuale: cattolico o nazionalsocialista, la questione più pregnante nella riflessione del contadino austriaco che progressivamente elabora motivazioni sempre più stringenti a favore dell’incompatibilità, tanto da portarlo al deciso rifiuto di combattere per Hitler.

I due periodi di addestramento militare, nel 1940 e nell’anno seguente, gli danno ulteriori opportunità di riflessione. Medita sul nazismo e sul suo carattere anticristiano, facendosi forza solo sulla Bibbia, sulla vicinanza della moglie, sull’esempio di alcuni santi, tra tutti santa Teresa di Lisieux, san Tommaso Moro e il francescano san Corrado da Parzham. Proprio in questo periodo, con l’amico commilitone Rudolf Mayer entra a far parte dell’Ordine francescano secolare. «È come se cercasse di rendere più solida la sua fede, più capace di resistere alle prove» commenta Zucconi. E in effetti Franz così scrive alla moglie per annunciargli la sua scelta: «Ti deve essere di conforto il fatto che la mia fede non si è indebolita mentre faccio il soldato». Pure Franziska di lì a breve emette la professione tra i francescani laici. A distanza di anni, in un’intervista così commenta il passo del marito: «È stato un miracolo, che si sia convertito così. Io non l’ho mai costretto, è venuto tutto da lui». C’è l’eco dell’accusa che tutto il paese, familiari compresi, le ha rivolto per decenni: colpa sua se Franz ha fatto la fine che ha fatto, se si è messo in testa certe idee cristiane...

Rientrato dal secondo periodo di addestramento (aprile 1941), alla conduzione della fattoria Jägerstätter somma il servizio come sacrestano: la Messa e l’adorazione diventano una tappa fissa quotidiana, fino alla chiamata alle armi, nel febbraio ’43. Franz si presenta e comunica la sua decisione. Viene tratto agli arresti, a Linz. Ma egli non è un obiettore impulsivo, il suo non è un colpo di testa, un «signor no» improvviso e improvvisato. È una scelta a lungo ponderata nell’animo, nella preghiera e nella riflessione personale, di fronte a Dio e agli uomini. I nazisti capiscono bene che il suo gesto è pericolosamente rivoluzionario, e lo trasferiscono a Berlino (nella stessa prigione del pastore Dietrich Bonhoeffer) affinché sia esemplarmente processato dal tribunale supremo del Reich. Viene condannato a morte e quindi ghigliottinato il 9 agosto 1943.

 

«Nella fede nessuno è isolato»

«Sono almeno tre gli elementi davvero notevoli della vicenda di Franz» spiega Giampiero Girardi, guida di un gruppo che da anni valorizza la figura del beato austriaco. «Intanto emerge la sua solitudine. Il primo scopritore di Jägerstätter, l’americano Gordon Zahn, ce lo ha restituito nel 1962 come Il testimone solitario, titolo del suo libro tradotto pure in Italia (Gribaudi 1968). Il suo è un taglio sociologico, non religioso, e sottolinea appunto l’emarginazione di Franz, non collegato a nessun gruppo o movimento politico di sostegno. Le grandi figure di obiettori non violenti come Gandhi o Martin Luther King avevano alle spalle un popolo, organizzazioni con cui discutere e rafforzarsi nelle difficoltà. Franz ebbe solo la moglie e pochissimi amici a sostenerlo. Ecco anche l’importanza dell’aiuto spirituale che trovò nei francescani: credo che per lui sia stato molto importante».

Sì, ha vissuto la solitudine di una scelta radicale, ma al contempo nella consapevolezza che «nella fede nessuno è isolato dagli altri», come scrive alla moglie dal carcere. Sottolineare il suo isolamento fa risaltare ancor più la determinazione, la ricchezza culturale e intellettuale, la capacità critica del contadino austriaco. «Aveva frequentato appena le elementari – prosegue Girardi –, proveniva da un contesto sociale e culturale ben povero. La sua curiosità e forte personalità lo facevano però essere attento a quanto accadeva, desideroso di capire. Certo si abbeverò della lettura della Bibbia, il cui studio in ambiente tedesco anche tra i laici era diffuso, come in Italia sarebbe stato solo dopo il Concilio. Pur tuttavia, l’impostazione del cattolicesimo nella campagna austriaca era molto tradizionale, avrebbe anche potuto bloccarlo. La sua grandezza è essere riuscito a tradurre i valori del cattolicesimo in senso etico arrivando alle scelte che ha fatto in anni tremendi come quelli del totalitarismo».

La rielaborazione di pensiero che emerge dai suoi scritti è davvero stupefacente. Il suo argomentare è concreto, immediato, coinvolgente. Spiritualmente molto maturo, tanto che alcune intuizioni sul ruolo dei laici e sulla responsabilità personale anticipano quanto solo il Vaticano II sancirà. La sua scelta è meditata e sofferta, ma non lo mette su un piedistallo, non lo abilita a giudicare gli altri. Così, pur costretto in prigione, distante dalla famiglia e dalla libertà, Franz non arriva a odiare. E invita a non prendere la sua vicenda come un pretesto per approdare all’odio. Anzi, detta ai familiari il giusto atteggiamento: «Perdonate con gioia. La maggior parte degli uomini si rovinano la vita da soli, con la loro incapacità di perdonare».

Il perdono deve coinvolgere anche i tanti cristiani che non seppero riconoscere la purezza dell’agire di Jägerstätter. Anzi, lo osteggiarono apertamente. È il terzo elemento sottolineato da Giampiero Girardi, che sulla vicenda firma il libro Una storia d’amore, di fede e di coraggio (Il Pozzo di Giacobbe 2013). «Franz muore in nome del Vangelo col parere contrario della Chiesa. Il vescovo, il parroco e il cappellano gli avevano intimato di recedere. Ritengo sia stata la più grande sofferenza per lui, ma anche poi per la moglie, che patì i lunghi anni di silenzio e incomprensione fino al 1962... Immagino poi quale sospiro di sollievo abbia tirato vedendo Franz sugli altari!». Franziska infatti si è spenta solo nel 2013, all’età di 100 anni.

Commentando in carcere le letture di Pasqua, il contadino che sconfisse il suo conterraneo Hitler rifletteva: «Cosa c’è di più consolante per noi cristiani che non dobbiamo più temere la morte?».

Data di aggiornamento: 28 Ottobre 2018
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