Fratellanza. Esperienza fondativa

Essere fratelli aiuta a divenire persone vere. Dà il senso del limite. Fa comprendere che l’errore è di tutti. Fa capire che l’amore non si assottiglia. E, soprattutto, che non siamo Dio.
01 Luglio 2019 | di

È «la fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali». Questo hanno scritto papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comuni.

Non c’è niente di facile e di scontato nell’essere fratelli. Non ci si sceglie e a volte va bene a volte no, come per tutte le relazioni della vita.

Da Caino e Abele in poi la storia anche biblica ce lo ricorda. E il mito e anche la letteratura. Antigone può morire per la sepoltura del fratello Polinice. Non per la sua vita, ci colpirebbe con minore potenza, ma perché sia affermata davanti agli uomini la sacra dignità del suo diritto a essere sepolto. Fratellanza che costruisce eternità.

Le favole e la narrativa per ragazzi e ragazze sono popolate di fratelli. Hansel e Gretel che insieme si salvano dalla strega malvagia, ma anche le sciagurate sorellastre di Cenerentola, e poi le incantevoli Meg, Jo, Beth e Amy di Piccole donne. Il vero orfano della letteratura è chi è senza genitori «e anche» senza fratelli e sorelle, come Oliver Twist o Mary Lennox del Giardino segreto e spesso sono proprio esperienze di fratellanza a salvare le loro vite.

Essere fratelli non è «più facile o più naturale» rispetto all’essere amici. Gli amici si scelgono, si possono lasciare, ci si può allontanare. I fratelli ci sono e se le cose non vanno bene non si può operare un misconoscimento di fratellanza. Ci si può ignorare ma si resta fratelli e sorelle. E, ancora la storia, il mito e la letteratura ci raccontano come sia devastante non imparare a vivere in serenità tra fratelli. Le guerre fratricide sono quelle più sanguinose.

L’esperienza dell’essere fratelli è in qualche modo fondativa, si può dire, del nostro essere persone.

Il figlio ancora unico che chiede ai genitori «mi fate un fratellino?» intuisce la natura assoluta del cambiamento. Se il genitore amatissimo che ha ancora tutto per sé dice sì, allora l’evento può accadere e lui si prepara e rassicura, meglio essere pronti che trovarsi rovesciati dal trono tutto d’un colpo. Se dice no, si rassicura lo stesso, il mondo sta al suo posto. Quando arriva il fratellino o la sorellina si impara che l’abbraccio si allarga, l’amore non si divide e assottiglia e nemmeno è un possesso. È dato e non accaparrato o carpito.

L’esser fratelli dà la fondamentale esperienza del limite: non tutto il tempo dei genitori è per me, anzi, il fratellino o la sorellina minuscola com’è e inetta chiede quasi tutta l’attenzione per un bel po’ di giorni, settimane, mesi, anni. Ma si sperimenta anche che c’è una mano da tenere e si può essere grandi e responsabili per qualcuno. Si impara che i litigi possono non essere per sempre, che i giocattoli vanno chiesti e non arraffati, che gli spazi vanno condivisi e che insieme è bello anche se non è sempre semplice. E si impara che non siamo Dio, che anche i genitori non sono Dio, perché nel dividersi tra i figli a volte fanno bene e intuiscono chi ha più bisogno e chi meno, altre volte sbagliano proprio alla grande e un bisogno è tradito. E allora si impara che sbagliare è di tutti, l’importante è non farlo troppo e più importante è riconoscerlo e ripartire.

In nessun modo c’è colpa nell’essere o nel generare figli unici, chi ne parla con supponenza o giudizio davvero non sa in quale territorio personale e intimo si sta muovendo. Ma un mondo di figli unici come il nostro ha bisogno che gli venga ricordato che è necessario coltivare esperienze di fratellanza, e che né da figli né da studenti né da coniugi né da politici possiamo cedere alla tentazione di sentirci Dio.

 

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Data di aggiornamento: 01 Luglio 2019
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