19 Settembre 2017

Ferite indelebili

Abbiamo tutti bisogno della grazia di Dio, di assumerci i nostri compiti e doveri, le nostre fragilità e povertà. Perdonare è per noi impossibile, ma grazie al Signore possiamo provarci.
Con l'aiuto della fede superare il dolore è possibile.
Con l'aiuto della fede superare il dolore è possibile.
©Jamrooferpix / stock.adobe.com / fotolia

«Quando avevo 4/5 anni ho avuto un’esperienza tragica. Sono stata violentata da mio padre. Questa vessazione è durata a lungo: oltre i 10/11 anni e anche dopo, saltuariamente, con gelosie, ricatti, minacce, tanto da impedirmi una normale infanzia e giovinezza. Il problema gravissimo era che mi metteva in condizione di sentirmi in colpa (…). Crescendo sapevo che non era così, ma ugualmente mi sentivo sporca. A circa 17 anni trovai il coraggio di confessarmi e di esporre il mio dramma, ma non so perché, invece di offrirmi una parola di orientamento, il confessore mi fece capire che le cose capitano quando noi permettiamo che succedano (…). Dopo questa unica confessione mi sentii ancora peggio. In seguito mi si scatenarono una rabbia e una ribellione nei confronti degli uomini e del mondo. (…) Il cuore rimase dolente e, a distanza di moltissimi anni, non riesco ancora a superare questa ferita. (…) Io sono sposata, ho la mia famiglia, sono nonna. Perché ancora provo questo tormento? Sono abbonata al “Messaggero” da tanti anni e gradirei una risposta rasserenante attraverso la sua rubrica. Grazie di cuore». Lettera firmata

 

Come si fa? Come si fa, nel ridotto spazio di una risposta a farci stare tutto ciò che sarebbe giusto e bene dire dopo aver letto questa lettera (tagliata per motivi di spazio)? Ma poi, che cosa è «giusto e bene» dire? Bisognerebbe partire dall’indignazione e dalla rabbia. Che pure ci stanno, eccome. Bisognerebbe non presumere di se stessi: perché se persino un papà e un confessore possono sbagliare, allora abbiamo tutti bisogno della grazia di Dio. Di assumerci responsabilmente i nostri compiti e doveri, le nostre fragilità e povertà. E anche le conseguenze del nostro operato. Non è la possibilità di sbagliare che ci manca, ma il desiderio di convertirci e, anche chiedendo perdono o perdonando, permettere al bene di farsi strada faticosamente attraverso di noi. Dobbiamo fare di tutto perché certe cose brutte non capitino a nessuno. Ma non possiamo impedire del tutto che prima o poi ci capiti qualcosa di brutto (per fortuna non nella misura di quello che la nostra amica lettrice ha condiviso con noi, ma pensiamo a lutti, malattie, imprevisti). Non è che per forza di cose ce lo meritiamo o ne andiamo in cerca, è che è così. Senz’altro c’è una sorta di colpa collettiva, cresciuta all’ombra di certi modi di vivere e considerare i rapporti tra le persone, il nostro corpo, il rispetto reciproco, la cultura che ci circonda, il tutto peggiorato magari da situazioni di degrado umano e spirituale. Ma ciò non toglie la responsabilità di colui che fa o si comporta male.

Che altro? Bisognerebbe crescere nella consapevolezza che dimenticare è umanamente impossibile, almeno nel senso come lo invochiamo noi, e forse neppure giusto. Anche perdonare è per noi impossibile, ma grazie a Dio possiamo provarci: «E quello che noi non rimettiamo pienamente, tu, Signore, fa’ che pienamente perdoniamo», invoca san Francesco in una sua preghiera. Un perdono che non cancella nulla magicamente, ma che taglia alla radice il male che rischia di crescere dentro di noi. Perché ridà dignità, ancora prima che al colpevole, alla vittima, riconfermandola nella sua capacità di vita in pienezza. Non è che magicamente il male si trasforma in bene: anzi, è probabile che almeno in parte continui pure a far male. È che cresce la capacità di rispondere con il bene al male! Impedendo che il proprio odio contribuisca ad aumentare anche solo di un grammo quello che già c’è in noi e attorno a noi. Cosa che, mi sembra, la nostra lettrice è riuscita a fare col suo amore di moglie, mamma e nonna. Preghiamo vicendevolmente!

Data di aggiornamento: 19 Settembre 2017
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