Femminicidio e individualismo

Ogni due giorni, in Italia, una donna viene uccisa, quasi sempre dal partner, o da un ex. Molte altre subiscono violenza, spesso tra le mura domestiche. La parola «femminicidio» è diventata tristemente comune.
24 Novembre 2017 | di

Quello che i media non fanno – mentre spesso dispensano con dovizia i particolari più macabri – è suscitare delle domande vere, che mettano in moto un processo di consapevolezza, e quindi di possibile cambiamento.

La crisi del maschio, la fragilità delle donne e il loro spirito sacrificale o, viceversa, la loro rivendicazione di libertà che sente il legame come un ostacolo alla felicità, la possessività maschile spacciata per amore: sono cose vere, ma sintomi, non cause.

Intanto va detta chiara una cosa: esiste una violenza di genere, fenomeno indiscutibile dove il maschio è carnefice e la femmina è vittima. C’è una cultura piena di retaggi di un passato che si pensava superato, ma non lo è.

Quello delle «mogli e buoi dei paesi tuoi», dove il problema non è la provenienza ma l’accostamento: la donna come una proprietà che se non è mia non deve essere di nessun altro. Ciò che ci fa stare bene è giusto, ciò che ci fa stare male è sbagliato, e quindi va rimosso.

Il femminicidio è, paradossalmente, l’esito coerente di un individualismo radicale che ormai è diventato una religione, intoccabile.

Abbiamo disimparato che l’amore è un movimento paradossale di apertura a un’alterità che ci libera – volendo il bene dell’altro facciamo anche il nostro –, mentre ossessionati dal nostro bene distruggiamo noi e chi ci sta vicino.

Data di aggiornamento: 24 Novembre 2017
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