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Nicoletta Masetto

Esodo. Storia del nuovo millennio

Domenico Quirico racconta dei suoi viaggi in compagnia dei migranti. Un grande esilio che ridisegna il futuro e interroga una terra, la nostra.
19 Giugno 2016 | Recensione di
Copertina del libro
Scheda
Neri Pozza
2016
I Colibrì
16,00
Giornalista de «La Stampa», responsabile degli esteri, corrispondente da Parigi e ora inviato. Ha seguito tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba. Ha vinto i premi giornalistici Cutuli e Premiolino e, nel 2013, il prestigioso Premio Indro Montanelli. Ha scritto quattro saggi storici per Mondadori (Adua, Squadrone bianco, Generali e Naja) e Primavera araba per Bollati Boringhieri. Presso Neri Pozza ha pubblicato Il Grande Califfato, Il paese del male e Gli Ultimi. La magnifica storia dei vinti.

«Parti intere del mondo si svuotano, di uomini, di rumori, di vita. Percorro squarci sterminati di Africa e di Medio Oriente e scorgo soltanto deserti e sterpaglie». Inizia così l’ultimo lavoro di Domenico Quirico, inviato de «La Stampa». Una cronaca, attenta e fedele, dei tanti viaggi fatti in compagnia dei migranti.

Un lungo cammino che parte dagli stessi luoghi in cui partono, sostano e si riversano uomini, donne e bambini senza più una terra, una famiglia e spesso anche senza più un’anima. Un racconto in presa diretta di un Esodo che sta già mutando il mondo e la storia a venire.

Il giornalista ha seguito tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba. Un viaggio nei Paesi dove tutti quelli che possono mettersi in cammino partono e non restano che i vecchi. Da Melilla, l’enclave spagnola che si stende ai piedi del Gourougou, in Marocco – dodici, sonnolenti chilometri quadrati cinti da un Muro in cui l’Europa è, visivamente, morta – fino alla giungla di Sangatte, a Calais.

Un grande esilio che ridisegna il futuro e interroga una terra, la nostra, che non può più essere quella di prima. E interpella un’Europa, ma non solo, che non può rimanere indifferente perché, come conclude Quirico: «abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e furore. Il mondo di domani».

Data di aggiornamento: 14 Luglio 2016