Enzo Decaro. Tra un mocassino e l’altro

Dagli esordi nel trio«La Smorfia», con Troisi e Arena, fino ai successi televisivi, teatrali e cinematografici. Il noto attore preferisce definirsi «un uomo in ricerca».
01 Giugno 2013 | di

«Gli indiani d’America dicono che tra i passi dei nostri mocassini è nascosto il segreto dell’esistenza e, qualche volta, anche quello della nostra felicità. La sfida di questi nostri tempi è proprio quella di trovare la felicità tra un mocassino e l’altro… in qualunque posto siamo». Le parole sono di Enzo Decaro, conosciuto dalla maggior parte del pubblico italiano come attore, fin dai suoi esordi con Massimo Troisi e Lello Arena nel trio «La Smorfia». Il «professor» Enzo Decaro è un uomo eclettico: docente di scrittura creativa presso l’università di Salerno, attore, poeta, musicista e ricercatore. Lo incontriamo al «Crucifixus Festival di Primavera», prestigioso appuntamento annuale del teatro sacro italiano, giunto alla sua undicesima edizione. Decaro, accompagnato al sassofono dall’amico musicista Thierry Valentini, apre la rassegna con la lettura di brani tratti dalle Confessioni di sant’Agostino nel gremitissimo duomo del SS. Salvatore di Breno (Brescia).

Msa. La sua è una carriera di tutto rispetto, ricca di esperienze che spaziano dal teatro alla televisione, alla musica. Com’è iniziata questa storia professionale?

Decaro. Eravamo un gruppo di ragazzi con la passione per il teatro: abbiamo trasformato un ex garage in un piccolo teatrino. All’inizio abbiamo cominciato a lavorarci nel tempo libero e poi, mano a mano, la passione è diventata un mestiere.

Quando ha deciso che avrebbe voluto fare questo lavoro? 

In realtà non l’ho ancora deciso. Sto prendendo seriamente in considerazione il fatto che possa essere così, ma anche no!

Crede ci sia una vocazione (in senso laico) che ognuno deve inseguire per realizzare se stesso?

Anche questa sera, in diretta, mi sono accorto che la mia vocazione è quella per la «ricerca» ed è trasversale a tutte le molteplici – forse troppe – attività che svolgo. Se dovessi mettere sulla mia carta d’identità un mestiere, non scriverei né attore, né docente, né professore, ma ricercatore, perché è la dimensione che mi si adatta meglio e che in qualche modo accomuna tutte queste professioni. Per esempio, questa sera, con il mio amico e collega musicista, durante la lettura dei brani di sant’Agostino ho sperimentato un percorso e uno studio sul modo di comunicare con il pubblico. Attraverso la lettura di questi testi mi metto alla ricerca, metto me stesso all’ascolto e, al contempo, trasmetto qualcosa a chi mi ascolta, magari con modalità che alla fine sono un po’ diverse rispetto a quelle che avevo previsto, proprio perché dal vivo c’è sempre l’interazione con il pubblico. Quando si ha a che fare con scritti o pensieri così profondi e delicati come quelli di sant’Agostino, la ricerca di un canale privilegiato di comunicazione è ancora più importante. L’essenziale è che ciò che vuoi «far passare» agli altri non venga espresso solo in modo parziale.

La parola è una grande responsabilità. La parola, come diceva Agostino, ha un grande potere. Lei è docente di scrittura creativa alla facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Salerno. 

Insegno scrittura creativa, che è un approccio all’ascolto, e solo in seguito alla scrittura. Ritengo che la parola sia fondamentale: essa può produrre cose positive, ma anche provocare molti danni, anche se non tanti quanti ne ha provocati negli ultimi tempi il silenzio. Certi silenzi, col trascorrere del tempo diventano più difficili da perdonare. È un problema di relazione. Alla fine serve sempre una parola che rompa il silenzio e metta in moto il perdono. 

C’è una sua frase sicuramente dedicata a Troisi: «Del resto l’unico modo per portare accanto a noi le persone care e sopportare il fatto che non ci siano più… è pensare che per fortuna, per fortuna ci sono state!». 

La separazione dalle persone care e dai compagni di strada, sia affettivi che lavorativi, è dolorosa. Quando, oltre all’affetto, si raggiunge con qualcuno anche un’intimità creativa, com’era quella tra me e Massimo, il legame diventa strettissimo e resta immutato nel tempo. E, come invitava a fare Agostino, bisogna cercare di superare questa «seccatura inevitabile» che è la morte, ricordando ciò che di bello ci lasciano le persone e che in seguito noi lasceremo a chi prenderà il nostro testimone. Ogni anno, da ormai quattordici anni, ci piace festeggiare il giorno del compleanno di Massimo con una partita di calcio insieme ai componenti della Nazionale attori. 

Attraverso l’arte e la bellezza si può raccontare la felicità di esistere? 

La bellezza è un punto di vista, una sensazione, uno stato dell’anima, una frequenza sulla quale sintonizzarsi se si ha la fortuna di percepirla o frequentarla anche temporaneamente. Le tante brutture e disavventure nelle quali ci imbattiamo (anche visivamente) ogni giorno, possono diventare un male sopportabile perché c’è sempre la possibilità di accedere a un qualcosa che rappresenta la parte più bella di noi. Dipende sempre da dove si sceglie di guardare. Mi spiego con un esempio: mi capita spesso, al mattino, di percorrere la strada che da Roma va a Salerno, lungo la quale da una parte si costeggia il mare e dall’altra c’è il Vesuvio, da un lato cioè è giorno pieno e dall’altro c’è buio pesto. Eppure è lo stesso istante, lo stesso viaggio. Sta a noi scegliere liberamente dove posare lo sguardo: se intrattenerci nella parte buia o accedere alla parte di luce. Nessuna delle due parti, comunque, è semplice e forse sono complementari una all’altra. Però ritengo che dopo essere passati e ripassati nella parte oscura di ognuno di noi, che peraltro è molto interessante e ci porta tanti messaggi dal profondo, tutto sommato la parte luminosa non è così male, perché illumina la bellezza che ci sta intorno. La percezione della bellezza è fatta di attimi a cui ancorarsi fortemente per poter guardare con quello stato d’animo alle nostre zone d’ombra.

«La poesia non è di chi la scrive è di chi gli serve!»: così diceva Massimo Troisi. Poeta Massimo è una piccola rivelazione con musiche di Decaro e testi di Troisi, che consigliamo a tutti di scoprire. Com’è maturata l’idea di realizzare questo progetto? Forse proprio per dare quelle parole e quella musica… a chi gli serve? 

Se Massimo non avesse reso celebre quella frase attraverso il suo personaggio di Mario il postino, non so se avrei mai avuto il coraggio di portare a termine, e alla luce, delle cose così nostre e così intime. Grazie a essa ho pensato che quello non fosse più un nostro fatto privato (sebbene l’abbia pensato in ritardo, come direbbe sant’Agostino). Poeta Massimo è stata la via faticosa per far conoscere e ricordare un aspetto di Massimo al quale sono stato e sarò sempre legato, cioè quello poetico. Massimo nasce come poeta, poi nel tempo traveste la sua poesia da altre cose (teatro e cinema) e alla fine, come un cerchio naturale, con la coscienza evoluta dell’artista, ritorna alla baia da cui era partito: l’ars poetica. Un film come Il Postino poteva essere realizzato solamente da qualcuno che avesse dentro di sé quella valenza fin da principio. Poeta Massimo sono le nostre canzoni degli inizi e contengono una forza poetica che, a distanza di tempo, ho trovato intatta e assolutamente grande.

Com’è nata la sua collaborazione con l’associazione «Bambini cardiopatici nel mondo»?

È legata all’iniziativa di Poeta Massimo. Il mio è un sostegno a questi «pazzi santi laici» che sono i medici dell’ospedale di San Donato Milanese. Essi offrono il loro tempo libero recandosi nelle parti più disparate del mondo, in posti dimenticati da tutti, e lì portano del materiale chirurgico, le attrezzature, formano i medici del luogo, insegnando loro a curare e ad agire sulle cardiopatie congenite, patologie che, in quei luoghi, non lasciano scampo. Una volta attivato il lavoro, ripartono. Trovo questo passaggio dalla carità alla solidarietà molto adatto ai nostri tempi. Non è più il momento di donare mille lire per un mattone, è arrivata l’ora di insegnare a costruire una casa con quel mattone. Questo è il vero aiuto che il mondo occidentale, cosiddetto evoluto, può dare a quelli che economicamente vivono nell’arretratezza. 

In questa catena di solidarietà, alla quale siamo tutti collegati, diventa più interessante e utile fornire tecnologie, presenza e solidarietà.                 

Zoom. Poeta Massimo

Siamo nel 1975. Troisi e Decaro, poco più che ventenni, vestono di note alcuni versi, immaginandone un destino nel mondo della canzone. Un sogno di ragazzi, tradotto in lampi di melodia armonizzati su accordi semplici da Enzo, chitarrista e musicista. Strofe ispirate dai pensieri che il cuore di Massimo − «quel cuore malandato», come dice ne Al mio cuore − spingeva sempre in profondità. Sono dodici poesie-canzoni di Massimo Troisi ed Enzo Decaro musicate oggi, in forma più compiuta, grazie a un gruppo di musicisti. Il tutto sviluppato da una manciata di fogli ingialliti con tante cancellature, ripensamenti, rifacimenti e una sola musicassetta con le tracce musicali. In Poeta Massimo, la voce di Enzo Decaro restituisce con emozione e rispetto l’immediatezza di quei momenti che il tempo non ha corrotto.

La scheda

Enzo Decaro nasce a Portici (Napoli) il 24 marzo 1958. 

Laureato in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è docente di scrittura creativa alla facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Salerno. Ha tre figli: Thomas, Arjuna e Sofia. La sua carriera di autore e attore si divide tra teatro, televisione e cinema. Dopo le prime esperienze giovanili in palcoscenico, fonda, con Lello Arena e Massimo Troisi, il trio comico «La Smorfia». L’esordio televisivo arriva nel 1977. 

Da allora la sua produzione teatrale, televisiva e cinematografica, continua con successo. Tra i suoi ultimi lavori televisivi Provaci ancora Prof 3 e il film per la tv Una madre

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
Lascia un commento che verrà pubblicato