Divina come la donna

Fino al 12 maggio al Museo Archeologico di Cagliari una mostra ripercorre la figura femminile nella scultura, tra protostoria e preistoria. Viaggio nella bellezza, tra sacralità e astrazione.
08 Marzo 2019 | di

Sacro è il grembo della donna che custodisce il mistero dell’esistenza. E ai primi uomini di questa terra non servivano certo le parole, per parlare di quel prodigio, ma muta contemplazione da scolpire sulla pietra per esprimere gratitudine nei confronti di quell’essere che generava vita e si faceva custode di ogni tesoro. Quanto era più semplice, allora, percepire il divino! Senza troppi concetti e strutture mentali, la donna era istintivamente una dea da venerare, o semplicemente da venerare perché donna.

Attorno a questo pensiero è nata la mostra «Donna o Dea» a cura di Silvia Fanni, Marcella Sirigu e Laura Soro, al Museo Archeologico di Cagliari fino al 12 maggio. Alle radici dell’esposizione, la necessità di interrogarsi su quelle centinaia di statuette del Paleolitico che rappresentano la figura femminile. Lo si è fatto seguendo fili diversi che si perdono tra arte, religione, prime abitudini, bellezza, sessualità.

Un cammino di pietra tra protostoria e preistoria, che comincia con la Venere di Savignano, risalente a un periodo compreso tra i 20 e i 30 mila anni fa. Proprio questa statuetta, coi suoi grandi seni e i fianchi arrotondati, è un inno all’abbondanza, alla donna genitrice e nutrice. Il suo essere senza volto sembra voler oggettivare questa forza femminile travolgente.

Le gambe e le braccia coniche, quasi simmetriche, rendono la figura astratta. La stessa impressione si avverte nella Venere della Marmotta e nella Venere di Macomer che, con quel volto simile al Prolagus sardus (mammifero estinto), potrebbe rievocare antiche arti sciamaniche di queste donne sarde che custodiscono i segreti delle Janas (fate) e delle antiche sacerdotesse.
 

Arte simbolica

Ma che cosa accade quando gli esseri umani cominciano a unirsi in società? Cosa accade quando si definiscono i primi ruoli? Si sviluppa ancor di più la venerazione per la Dea Madre che è Terra, e nel suo grembo custodisce i frutti e le porte per il mistero. Ma soprattutto la Dea Madre è donna. E come donna viene rappresentata con particolari sempre più definiti, con le mani che sostengono i seni e copricapi decorati. Statuette volumetriche che diventano sempre più geometriche e stilizzate, espressioni artistiche di una cultura che si definisce, si raffina, e diventa simbolo.

È questo il caso della meravigliosa Venere di Turriga, presagio di una croce salvezza dell’uomo. E la donna era salvezza dell’uomo, perché a essa si affidava la vita. Non solo i figli, ma la casa già santa nella quale custodire oggetti preziosi realizzati con mani sempre più sapienti. Conchiglie perforate e decorate di ocra rossa parevano essere il biglietto per accedere al regno della morte con tutta la bellezza e sapienza realizzata da quelle dee terrene, alle quali la piccola società autorizzava stessa degna sepoltura.

E sì, non sembra ci fossero differenti atteggiamenti nei confronti di donne o uomini. Nel sito di Scaba ‘e Arriu, a Siddi, crani femminili trapanati dimostrano anche come le cure magiche- terapeutiche fossero riservate anche a loro, pur non mancando il caso di una donna uccisa con un colpo sulla testa da una mano forte, con un oggetto contundente. Queste mogli, madri e sorelle cucinavano in pentole di terracotta, ciotole decorate con intrecci e spirali, perché loro è anche il primo culto per la bellezza.

A dimostrarlo le prime collane di pietra, osso e conchiglie rinvenute ad Anghelu Ruju, ad Alghero, e a Capo Sant’Elia, a Cagliari. È lì che le donne iniziano a identificarsi come persone, che diversificano i loro gusti e le loro personalità. Eppure, il loro culto sembra non interrompersi neanche in questo momento, perché vengono rappresentate nel bronzo come sacerdotesse oranti, madri regine, con ampio mantello e cappello che slancia verso l’alto i loro volti sottili.
 

Dolore e fragilità

Ma in questo cammino (e siamo a circa 10 mila anni fa) alla Dea Madre vengono affiancate le prime statuette maschili. Sorge il dio virile e guerriero e la donna ne diventa madre, figlia, casa. Tuttavia, la bellezza non si perde. Per la prima volta si pone attenzione allo splendore della fragilità d’animo di colei che sa che cosa sia la vita. Ed ecco rappresentato il dolore della madre che perde il figlio. La madre dell’ucciso, bronzetto proveniente da Urzulei e di pathos disarmante, trasforma quella dea in una terrena lacrima.

Ciò che avvenne poi, dall’era del ferro fino ai nostri giorni, è storia meno misteriosa. E, talvolta, dolorosa e ricca di ingiustizie, disuguaglianze, sopraffazioni. Ma c’è un filo che mai si perderà. È quello che le donne tessono dalla notte dei tempi: trame silenziose intrecciate nel telaio dell’esistenza, antica sapienza riconosciuta e custodita e che narra di una forza creatrice sovraumana. Fili colorati che l’artista Maria Lai ha voluto rappresentare nel suo capolavoro La terra, telaio che intreccia legno e spaghi dipingendo i colori della vita. Ed è proprio con un antico telaio che si chiude la mostra. La Donna o Dea, nel suo continuo generare vita, bellezza, misteriosi silenzi, è portatrice di tradizioni e antichi segreti, creatura misteriosa e divina su questa terra.    

 

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Data di aggiornamento: 11 Marzo 2019
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