Che cosa accade al Terzo settore?

A quasi due anni dalla sua approvazione in Parlamento, facciamo il punto sulla recente riforma in compagnia di Stefano Zamagni, economista e «padre» degli studi sul Terzo settore.
09 Maggio 2019 | di

«Il 2 agosto 2017 il Parlamento ha approvato, dopo un lungo iter, il Codice del Terzo settore, una norma di straordinaria rilevanza, perché è la prima volta che l’Italia si dota di una legge quadro su tutti gli enti di Terzo settore che nel nostro Paese sono circa 366 mila, una realtà significativa sia da un punto di vista quantitativo che, soprattutto, qualitativo». Parola di Stefano Zamagni, economista di fama internazionale e «padre» degli studi sul Terzo settore. A lui abbiamo chiesto di aiutarci a fare il punto sulle novità principali introdotte da una riforma che riguarda oltre 6 milioni di persone operanti, a vario livello, nelle organizzazioni di volontariato, nelle associazioni di promozione sociale, negli enti filantropici e nelle imprese sociali.

Msa. Professore, qual era la situazione del Terzo settore in Italia prima di quest’ultima riforma?​Zamagni. Fino ad agosto 2017 l’Italia ha avuto in tale ambito solo leggi di settore. Una frammentazione di norme giuridiche molte volte tra loro in contrasto e tali da non favorire un coordinamento strategico tra gli enti. Oggi, con il nuovo Codice, l’Italia è all’avanguardia perché altri Paesi europei non ne hanno l’equivalente.

Come valuta questa legge?Non è ottima, perché contiene qualche lacuna, ma nel complesso è una legge buona e per tre ragioni fondamentali. Innanzitutto, perché consente finalmente di passare dal regime concessorio al regime del riconoscimento.

Vale a dire?Che fino a meno di due anni fa, i soggetti che avessero voluto dare vita a un ente di Terzo settore dovevano chiedere l’autorizzazione a un ente pubblico (Regioni, Comuni…) per iniziare a svolgere le proprie attività. Questo perché le norme del Codice civile, al Libro I Titolo II, sancivano il principio concessorio, un principio vecchio e ormai superato (il Codice civile in Italia è stato approvato nel 1942, in piena epoca fascista), tipico di tutte le dittature. Chi ama la libertà e la democrazia non può accettare un regime di quel tipo: non può esserci bisogno, per fare il bene, di chiedere un permesso. È un principio base per l’ordinamento giuridico, ma anche per chi si professa cristiano. Ora, passando al regime del riconoscimento, si apre una nuova stagione: l’ente pubblico si limita a riconoscere i soggetti che si mettono insieme per raggiungere dei determinati scopi volti al bene comune. Quindi, siccome si può riconoscere solo ciò che già esiste, di fatto l’ente pubblico non deve più concedere nessuna autorizzazione, bensì solo controllare se l’operato dell’ente corrisponde a quanto è sancito nello statuto ed è in linea con le norme generali dell’ordinamento giuridico.

E la seconda novità di rilievo?Per la prima volta si riconosce che gli enti di Terzo settore hanno una propria sfera di autonomia e sono pertanto capaci di proporre in proprio iniziative, avanzare progetti e produrre valore al pari di altri soggetti del mercato. Vale a dire che siamo passati dal modello bipolare di ordine sociale, basato su Stato e mercato, al modello tripolare: Stato, mercato e comunità. In altri termini, se finora gli enti di Terzo settore sono stati al servizio o dell’ente pubblico (era in genere quest’ultimo che stabiliva accordi o convenzioni con un soggetto per ottenere la gestione di determinati servizi) o, in qualche raro caso, dei soggetti imprenditoriali privati, ora non sarà più così, perché il modello tripolare dice che gli enti di Terzo settore hanno la medesima dignità degli altri.

Veniamo al terzo punto importante.La terza novità è che nell’ultima parte del Codice si parla esplicitamente di strumenti di finanza sociale. È la prima volta che nell’ordinamento giuridico italiano, da quando esiste la nostra nazione, appare questa espressione. Finora finanza era solo quella di tipo speculativo.

(...)

Le note dolenti. Quali sono le principali lacune?La prima: non viene prevista l’istituzione di un’Agenzia nazionale che sia parte terza rispetto agli enti di Terzo settore e alla pubblica amministrazione. L’Agenzia in realtà c’era, ma è stata chiusa nel febbraio del 2012 dall’allora governo Monti. Va ricreata, perché, diversamente, continueranno gli scandali cui abbiamo assistito negli ultimi anni, come mafia capitale. L’agenzia effettuava infatti puntuali controlli. Io l’ho presieduta per cinque anni e sapesse quanti corrotti ho scoperto...

Altre lacune?Non è stato abrogato il Libro I Titolo II del Codice civile, per cui adesso avremo due regimi: da un lato gli enti che si adeguano al codice del Terzo settore e dall’altro quelli che rimangono invece a seguire la vecchia normativa. Bisognava avere il coraggio di abrogare il vecchio che, come ho detto, non è solo inadeguato ma immorale. Infine, un’altra grossa mancanza riguarda il fatto che non si fissano delle linee guida uguali per tutta l’Italia, perché viene lasciato alle singole Regioni troppo potere discrezionale.  Comunque, sono certo che, non appena ci si renderà conto dei pasticci che si creeranno, queste lacune verranno sanate.

A distanza di due anni, però, mancano ancora parecchi decreti attuativi.È vero. Le leggi, per cominciare a produrre risultati, hanno bisogno dei decreti attuativi. E, al momento, ne sono stati promulgati sulla Riforma solo una quindicina. Ne mancano almeno altrettanti. Ognuno interpreta questo ritardo come vuole. Certo è che, senza decreti, non si può procedere. Il più importante, tra i mancanti, è quello di proroga: il prossimo 2 agosto, infatti, gli enti che non si saranno adeguati alla nuova normativa decadranno. Ma essi non possono adeguarsi alla nuova normativa se prima non sanno come funzionerà il Registro unico, la cui predisposizione è stata dal Governo affidata appena un mese fa a Unioncamere, che ha chiesto diciotto mesi di tempo per arrivare a produrre la piattaforma digitale che realizzerà il Registro. Il decreto è davvero urgente.

Ma il suo ottimismo da che cosa nasce?Dal fatto che senza un Terzo settore autonomo e robusto non c’è futuro per il nostro Paese. Tutto il mondo del welfare in Italia dipende potentemente dai soggetti di Terzo settore. Se decidessero di incrociare le braccia, che cosa accadrebbe? Per fortuna in Italia c’è ancora una radice culturale cristiana molto profonda, che ha insegnato come, nonostante difficoltà e sacrifici, bisogna arrecare il bene di cui si è capaci.

Perché la norma spazzacorrotti, che impedirebbe a chi nei precedenti 10 anni ha svolto attività politica di avere ruoli dirigenziali negli enti di Terzo settore, sarebbe così deleteria per gli enti?La politica è la forma più alta di carità, diceva Paolo VI, e quindi instillare il sospetto che l’attività politica induca di per sé alla corruzione è un grave errore. Inoltre, se la norma restasse, si verrebbe a decapitare gran parte degli enti di Terzo settore, molti dei quali hanno ai vertici persone che hanno fatto in anni recenti politica e mettono ora il loro know-how al servizio di queste realtà. Meglio sarebbe introdurre la norma della non simultaneità, ponendo dei vincoli solo a chi si occupa oggi di politica. L’attuale norma è disumana. Non posso caricare sulle spalle delle persone per bene il mio sospetto che qualcuno sia corrotto. Noi italiani non siamo mai stati dell’idea che gli esseri umani siano ontologicamente cattivi; oggi si sta diffondendo questa opinione. Mi dispiace molto che duemila anni di cultura cattolica non siano serviti a cambiare la mentalità anche di alcuni personaggi che occupano posizioni piuttosto elevate e che contagiano con il loro pensiero la società.

 

L'intervista integrale è pubblicata sul Messaggero di sant'Antonio di maggio 2019 e nella versione digitale della rivista. Provala subito!

Data di aggiornamento: 13 Maggio 2019
Lascia un commento che verrà pubblicato