Arca, la bellezza della spiritualità

Sono pochi i luoghi al mondo in cui fede e arte, spiritualità e bellezza si coniugano alla perfezione in un’esperienza indimenticabile. Uno di questi è la Cappella dell’Arca, il luogo che ospita le spoglie mortali di sant'Antonio.
29 Aprile 2014 | di

Il secondo cuore pulsante della Basilica, dopo il luogo in cui si celebra l’Eucaristia, è la Cappella sotto le cui volte dorate s’innalza l’altare che custodisce la Tomba di sant’Antonio, detta anche «Arca».

Arca: nome altisonante e impegnativo, se si pensa che esso connotava l’oggetto più prezioso posseduto dal popolo dell’Antico Testamento. Era infatti la cassa di legno, rivestita d’oro e riccamente decorata, fatta costruire da Mosè su ordine di Dio come segno visibile della sua presenza in mezzo al suo popolo. Conservata nella parte più sacra del tempio, essa custodiva le Tavole della Legge (cioè il patto di amore e di fedeltà siglato da Dio con il suo popolo) e per questo era venerata come Arca dell’Alleanza. Nome impegnativo, dunque, ma non usurpato né millantato, giacché anche la Tomba di cui stiamo parlando custodisce un tesoro, per il quale Padova deve ritenersi fortunata. Lo dice chiaramente anche la scritta che campeggia sul soffitto della Cappella: Gaude, felix Padua, quae thesaurum possides, «Gioisci, o felice Padova, che possiedi un tesoro».

Il tesoro è sant’Antonio, che papa Gregorio IX aveva definito «Arca del Testamento», per la profonda conoscenza che egli aveva delle Sacre Scritture, della Parola di Dio, della quale era stato intrepido missionario. Pur con qualche doveroso distinguo, dunque, alla fine i conti tornano. La Tomba del Santo è celata agli occhi dei fedeli da una lastra di marmo verde cupo, sulla quale i pellegrini poggiano la mano come a cercare un contatto fisico con il Santo cui affidano ansie, dolori e insicurezze che impaniano la loro esistenza.

La fila dei pellegrini è continua: gli occhi fissi sulla Tomba, assorti nei loro pensieri, sfiorano appena con lo sguardo le bellezze dell’arte che li attorniano e che rendono la Cappella, oltre che luogo d’intense vibrazioni interiori, una testimonianza storica dell’amore della città al suo Santo. Bisogna attendere che il colloquio dei fedeli con Antonio abbia fine perché essi si accorgano anche della bellezza che li circonda e che solo di recente è stata riportata all’originale splendore. La Cappella, infatti, qualche anno fa è stata fatta oggetto di un accurato restauro, che ha risanato i danni inferti dall’usura del tempo, dall’umidità e dal fumo delle candele e delle lampade votive a olio, che qui per secoli hanno bruciato in strepitose quantità.
 
Cominciamo dalle origini
Le origini ci riportano ai primi anni del 1500. È in quel torno di tempo che frati, massari dell’Arca e maggiorenti della città – su istanza anche del padre Francesco Sansone, ministro generale dei francescani conventuali e raffinato mecenate che, morendo, ha lasciato una cospicua somma a tale scopo – decidono di dare un nuovo volto, più ricco e luminoso, alla Tomba del Santo e alla Cappella che la custodisce. L’intento è quello di ammorbidire la severità delle linee gotiche cui si sono ispirati i suoi autori quando, intorno al 1350, hanno collocato stabilmente in quel luogo le spoglie mortali del Santo.

Nella realizzazione dell’opera è impegnato uno stuolo di artisti – scultori, ornatisti, bronzisti, orefici – sotto la guida del padovano Giovanni Minello, coadiuvato dal figlio Antonio, incaricati di dar corpo al disegno architettonico ideato con ogni probabilità dal veneziano Tullio Lombardo, eccellente scultore e architetto. I lavori durano a lungo e non sono ancora ultimati quando, nel 1532, viene murata sulla facciata la targa di dedicazione: Divo Antonio Confessori Sacrum RP PA PO (A sant’Antonio. La cittadinanza padovana pose).

Nello stesso anno la direzione dei lavori viene affidata al veronese Gian Maria Falconetto, al quale si deve il completamento della facciata, composta da cinque agili arcate, sormontate da un massiccio frontone, nel quale vengono ricavate cinque nicchie destinate ad accogliere le statue dei santi Giustina, Giovanni Battista, Prosdocimo, Daniele e Antonio.

Il Falconetto cura anche la realizzazione della volta del soffitto e della sua fantasiosa decorazione a stucchi dorati. In essa è impegnato in particolare lo scultore padovano Tiziano Aspetti, autore  dell’originale ed elegante altare che custodisce la Tomba di sant’Antonio, al quale si accede per sette gradini delimitati da balaustre: il tutto, popolato di candelabri e statue bronzee. Alla seconda metà del ’600, invece, risalgono i due superbi candelabri in argento posti ai lati dell’Arca, opera di Giovanni Balbi (1673 quello di destra, e 1686 quello di sinistra).
 
Lode al Santo dei miracoli
Lo scopo ultimo dell’opera, come di tutto il complesso basilicale, è di rendere riconoscente omaggio a sant’Antonio, del quale qui viene celebrato in particolare il suo carisma più conosciuto e più popolare, quello di efficace intercessore presso Dio per disagi e malanni non altrimenti risolvibili, come testimoniano da sempre i numerosi «ex voto» popolari appesi ai fianchi della Tomba.

Gli artisti che hanno ideato e realizzato la Cappella con i suoi ricchi decori si sono adeguati, fissando nella plasticità del marmo il ricordo di alcuni fatti straordinari compiuti dal Santo e testimoniati dai primi biografi. Ne sono usciti nove altorilievi, a loro modo (eccetto il primo) «ex voto», che adornano con grande effetto le pareti della Cappella.

Gli episodi narrati sono noti, e su alcuni di essi si sono cimentati anche altri artisti, come Donatello, che li ha effigiati in piccole straordinarie formelle di bronzo, incastonate sull’altare maggiore, o Tiziano, che li ha affrescati sulle pareti della Sala priorale.
Il merito degli altorilievi è la facilità di lettura, per la loro proporzione ad altezza d’uomo. Essi raccontano episodi, ma lanciano anche messaggi, eloquenti e validi, per gli uomini di ogni tempo, anche il nostro. Sono infatti radicati nella inossidabile vivezza del Vangelo di Gesù, che ci invita a porre Dio, e non idoli terreni come denaro, potere o edonismo, al centro della nostra vita, e ad amare gli altri, i più deboli in particolare, come noi stessi. Cosa che Antonio ha sempre cercato di fare, come conseguenza anche della scelta di vivere il Vangelo nella sua pura radicalità, indossando il saio francescano nel romitorio di Monte Olivares, a Coimbra (episodio significativamente narrato nel 1512 da Antonio Minello nel primo dei nove riquadri della Cappella).

Ma ecco in sintesi alcuni dei «miracoli» raffigurati. Qualcuno sembra uscire dalle cronache dei nostri giorni, come quello del marito che, sconvolto dalla gelosia, tenta di colpire la moglie con un pugnale. Lo narra con ruvida drammaticità il padovano Giovanni Rubino. L’intervento del Santo evita la tragedia.

L’attenzione di Antonio per la famiglia, e per i drammi che a volte la sconvolgono, è plasticamente raffigurata in altri quattro riquadri. Di due di essi è autore Jacopo Sansovino, scultore di grande valore. Nel primo riquadro, forse il più equilibrato e armonioso della serie, è raffigurato il Santo nell’atto di risuscitare un bimbo annegato. Nel secondo, è descritto il dramma della mamma e dei parenti di una giovane, Eurilia, morta annegata, che sant’Antonio farà ritornare alla vita. Intarsiata nella parte superiore del riquadro, un’immagine della Basilica.

Ancora legato alla famiglia, il miracolo del neonato, che Antonio fa parlare perché attesti l’onestà della madre accusata di infedeltà dal marito, ossessionato dalla gelosia. Ne è autore Antonio Lombardo, fratello del più noto Tullio, il quale firma il bassorilievo in cui è raccontato l’episodio del ragazzo che, rimproverato per aver colpito con un calcio la madre, si recide il piede, prontamente riat­taccato dal Santo.

Di Tullio Lombardo è anche il racconto della morte di un usuraio, ossessivamente attaccato al denaro, accumulato strozzando i poveri debitori. Ai parenti in lacrime, il Santo aveva detto: «Amava tanto il denaro in vita che ora il suo cuore non è dentro il petto ma nello scrigno tra i suoi ori». E li aveva invitati a verificare. L’idolo del denaro nel cuore al posto di Dio, con tutto quel che ne consegue. Il messaggio di Antonio è chiaro: è a Dio che devono tendere la mente e il cuore di ognuno.

Per finire: una presenza nei pressi dell’Arca che nessuna guida segnala, quella di alcuni religiosi, sempre pronti a soddisfare le richieste dei pellegrini, o ad ascoltare le loro confidenze: dolori, disagi, stanchezze, ma anche gioie per problemi risolti, per serenità interiori riacquistate. Tutti sono misteriosamente accompagnati per mano dal Santo che, attraverso la presenza discreta dei suoi frati, continua la sua missione di «insigne predicatore e patrono dei poveri e dei sofferenti».          
 
 

ZOOM

Il difensore dei bambini

 
Al pellegrino che, assorto e con la preghiera che gli muove le labbra, attende in fila di giungere alla Tomba di sant’Antonio, non sfugge il forte richiamo – mediato dall’arte – dei nove altorilievi marmorei che ornano la cappella dell’Arca, che lo coinvolgono e accompagnano all’incontro con il Santo. Il tutto appare come una «sacra rappresentazione». Anche i dettagli sono importanti ed evocativi, come i bambini, presenti in quasi tutte le scene o in veste di coprotagonisti dei fatti prodigiosi raccontati o di semplici spettatori. Delizioso il bimbo con il grappolo d’uva, effigiato nel drammatico racconto dell’avaro ritrovato senza cuore. L’immagine del bambino suscita immediata simpatia e attiva anche nei cuori più induriti sentimenti di bontà e di tenerezza. Sant’Antonio ebbe un rapporto privilegiato con i bambini e con l’ambiente in cui essi vivono e si muovono: la famiglia.

Ai piccoli che per una disgrazia hanno perduto la vita, il Santo la restituisce con la sua potente intercessione; oppure li fa parlare, anche quando per la loro tenera età non sono in grado di farlo, pur di ristabilire tra i genitori concordia e pace. Non è un azzardo immaginare madri o padri che, al passaggio del Santo, gli porgono i figli, magari piccolissimi, affinché li benedica, come avveniva al passaggio di Gesù lungo le strade della Palestina: «Lasciate che i bambini vengano a me … a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14).

C’è un motivo perché alla morte di frate Antonio, il 13 giugno 1231, i fanciulli di Padova, misteriosamente avvertiti, percorrono le vie della città annunciando la morte dell’amato predicatore e «canonizzandolo»: «È morto il padre santo! È morto sant’Antonio». Dopo l’ingresso di Gesù in Gerusalemme – si legge nel vangelo secondo Matteo – i fanciulli lo acclamarono nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!». Richiesto di giustificare tanto slancio, Gesù rispose, citando il salmo 8: «Non avete mai letto: Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode?» (cf. Mt 21,14-16).

Nell’iconografia appare tardivamente, ma per noi è immediato immaginare sant’Antonio con il Bambino nelle braccia, assieme al Libro sacro: la Parola scritta e il Verbo incarnato, che furono oggetto del suo studio, ma più ancora del suo amore appassionato e del suo ministero di ardente predicatore.

Negli altorilievi i bambini sono per lo più sorretti dalla mano di un adulto: è naturale che sia così. Scrive il Santo nel prologo ai suoi Sermoni: «Come una madre amorosa prende con la sua mano quella del bambino insicuro nelle gambe, perché possa salire con lei, così il Signore con la mano della sua misericordia prende la mano dell’umile penitente affinché possa salire per la scala della croce i gradini della perfezione». A sant’Antonio possiamo attribuire un altro bel titolo: defensor puerorum, difensore dei piccoli in quanto tali, ma anche di quanti lo diventano, per amore di Cristo e del suo Vangelo.
 
 

NOTIZIE
Maggio in Basilica

 
1 Maggio:
ore 12.00, Messa presieduta dal cardinale Albert Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo e concelebrata dai vescovi dello Sri Lanka presenti a Roma per la visita ad limina, in occasione del pellegrinaggio annuale delle comunità srilankesi presenti in Italia.

9 Maggio:
ore 18.00, Messa presieduta dal vicario generale di Padova in occasione del Convegno nazionale Fuci.

11 Maggio:
ore 11.00, «Premio bontà sant’Antonio di Padova in memoria di Andrea Alfano D’Andrea».

15 Maggio:
ore 11.45, Messa per la ricorrenza dei Giubilei dei frati della Provincia italiana di sant’Antonio di Padova.

25 Maggio:
ore 12.15, Messa per gli africani di lingua francese in occasione del 2° pellegrinaggio delle comunità presenti in Italia.

31 Maggio:
ore 18.00, inizio Tredicina in onore di sant’Antonio; ore 21.30, conclusione solenne del mese di maggio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017