01 Febbraio 2018

Anteprime di paradiso

Un pensiero e una preghiera particolare per tutti voi, amici lettori, che vi prendete variamente cura di un ammalato o di una persona bisognosa. Grazie a nome di tutti! E grazie anche a sant’Antonio che è sempre stato, ed è, vicino a chi soffre.
vignetta prendersi cura malato

©JeSuisL’Autre

Lo sa bene chi accudisce in casa un malato grave, un «lungodegente» per dirla più scientificamente: un genitore anziano, un figlio disabile dalla nascita o per qualche incidente intercorso nel frattempo. O chi, fatte le debite differenze, non si sottrae all’impegno, che è umano oltre che comando evangelico, di recarsi a far visita ai propri cari in casa di riposo. E, badate, gli uni e gli altri non sono assolutamente pochi, anche se ben poco interessati a mettersi in mostra, armata silenziosa e invisibile di buoni samaritani.

Lo sa, voglio dire, non come si sanno queste cose con la testa: difficili da spiegare, le parole sono insufficienti. Talvolta rasentano l’assurdità, almeno dal nostro punto di vista: costoro accettano volentieri aiuti e sostegni di tutti i tipi, che invece magari fanno fatica ad arrivare da qualsiasi parte, siano parenti o istituzioni a ciò preposte. Ma come spiegare che, nei limiti del possibile ma qualche volta anche dell’impossibile, non ci si vuole sottrarre a quell’ingrato e pesante compito? Chi ce lo fa fare? Perché non mollare, pagando personalmente in termini di occhiaie, depressioni, vita sociale ridotta a un lontanissimo ricordo?

Certo, gli ausili umani e tecnici sono necessari, e ce ne fossero di più! La stanza dell’ammalato, ma invadendo poi l’intera casa, è attrezzata per la battaglia finale, con maniglioni, girelli, letti attrezzati, comode, garze, pomate e tubicini sparsi ovunque. Il tipico odore d’ospedale, un mix ben poco piacevole di medicine, cloroformio, urina, deodoranti inefficaci, borotalco, ormai impregna persino i muri. E perché poi? Questa battaglia si perderà. Percepiamo che il nostro caro inchiodato lì nel letto se ne sta silenziosamente sprofondando verso un dove misterioso, oscuro, innominato. Ma ben presente nelle nostre paure. E noi vogliamo e non vogliamo che vada, domandandoci di volta in volta se lo desideriamo per il suo bene o piuttosto per il nostro. Intuendo che abbracciare è diverso da afferrare o trattenere.

Lo sa, ancora meno, non come si sanno queste cose con la fede. Che in questi casi è di solito sanguigna, rude, senza inutili chiacchiere. Che di sapere sa ben poco, ma molto più, nel durare di questo «spavento lungo e martirio / al rallentatore» (Mariangela Gualtieri), resiste all’abbruttimento, al fare anche solo un passo indietro nella nostra dignità.

Ma lo sa, oh se lo sa, con le mani. Che accarezzano con pietà quella pelle che ormai s’è fatta di velo, fragile sotto le nostre dita che vorrebbero arpionare il tempo che inesorabile scorre e chiama altrove. Mentre gira e rigira quel corpo quasi inerte, talvolta ridotto a larva: lo mette a sedere, aggiusta il cuscino, lo lava, lo imbocca. Un corpo che sta restituendo, piano piano, tutto di sé.

Lo sa con gli occhi, resi più lucidi da tante lacrime versate nel silenzio e nella solitudine di tante ore notturne passate a vegliare, ma che Dio gli conta a credito, che vedono, più di noi. Perché «curare un malato è servire Cristo, il malato è la carne di Cristo» (papa Francesco, Angelus, 8 febbraio 2015)!

Lo sa con la bocca. Che sussurra imperterriti rosari e preghiere senza speranza, o dolci parole di una volta, a quel Dio e a quell’ammalato che entrambi sembrano sordi. E allora più di tutto vale, all’uno e all’altro, un appassionato bacio su quella fronte ardente per la febbre.

Un caro ricordo perciò a sant’Antonio di Padova, che è sempre stato vicino a chi soffre, e una preghiera al buon Dio per tutti voi, che vi prendete variamente cura di un ammalato o di una persona bisognosa. In alcuni casi dando letteralmente la vostra vita per questo.

Grazie a nome di tutti!

Data di aggiornamento: 01 Febbraio 2018

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1 comments

3 Febbraio 2018
Grazie padre Fabio di questo articolo , bellissimo.
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di Giliola

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