Aleppo, la bellezza dopo le bombe

Un anno fa, il 22 dicembre 2016, la città veniva liberata dopo sei anni di assedio, distruzione e morte.
21 Dicembre 2017 | di

È notte ad Aleppo. La città rimane una sequenza spettrale di case sventrate. Le strade non sono strade. A coprirle detriti, brandelli di muro con tanto di tende, suppellettili, vestiti avvinghiati ai calcinacci. Ma il buio non è più di quel nero pece come sotto le bombe, sotto i colpi dei cecchini o i missili che, alla fine, hanno preso di mira persino gli ospedali. Da poche settimane è arrivata l’acqua, anche se non potabile. E pure l’elettricità, anche se solo di notte. 

«In queste ore si può, finalmente, fare una lavatrice o usare il ferro da stiro – spiega fra Ibrahim Alsabagh, frate minore dal 2014 alla guida della cattedrale latina di San Francesco d’Assisi nel quartiere di Azizieh –. Le più felici sono le mamme: possono tornare a un barlume di vita quotidiana scandita da piccoli gesti come una lavatrice di panni freschi di bucato da stendere, una maglietta da stirare, un pasto da consumare non più al buio, bensì guardandosi in faccia».

Fra Ibrahim è siriano. Nato a Damasco da una famiglia cristiana, si iscrive all’università: vuole fare il medico. Poi, però, sceglie «la medicina spirituale rispetto a quella tradizionale – afferma scherzando –. Perché, come dice il Papa, “c’è un gran bisogno di ospedali da campo… per le anime”». Dall’urgenza di «stare sul campo», vale a dire in prima linea dentro una realtà squarciata da dolore, martirio e sofferenza, nella quale «la Chiesa, come una madre, è chiamata a dare e non a ricevere», fra Ibrahim non si è mai tirato fuori.

Lo racconta nel corso di un incontro al «Messaggero di sant’Antonio», con la redazione e alcuni frati (il direttore generale fra Giancarlo Zamengo, i direttori dell’edizione inglese, fra Mario Conte e di quella rumena, fra Daniel Fecheta). Fra Ibrahim è in Italia, grazie all’Associazione Pro Terra Sancta, per far conoscere al mondo una città divenuta simbolo dell’orrore dei conflitti del Terzo Millennio.

Esordisce ricordando il legame stretto con Francesco e Antonio e la grande devozione verso questi due santi da parte di tanti aleppini.

«In questo momento la città sta tentando di scrivere una nuova pagina della sua storia e l’oggi, purtroppo, non è meno difficile degli ultimi sei anni – spiega –. Ora più che mai abbiamo bisogno degli occhi del mondo. Il rischio è l’oblio. Il pericolo è che Aleppo diventi una città fantasma e i suoi abitanti invisibili. Le ferite sono ancora fresche, le cicatrici intrise di sangue e sentimenti rappresi. C’è chi non ha di che vivere e chi ha perso la voglia di vivere. Ci troviamo ad affrontare le prime necessità come i tagli profondi nell’anima. Oggi Aleppo è controllata quasi interamente dall’esercito lealista, ma le sacche di resistenza ci sono. Gli spari proseguono, come pure i bombardamenti. La guerra non è finita».

Guerra, maledetta guerra. Sei anni lunghissimi, interminabili. E i morti: forse 300 mila, ma nessuno in realtà sa quanti siano. Aleppo, prima: una delle città più vivaci e belle del Medio Oriente. Piena di vita, commerci, scambi, colori. Aleppo, dopo: il nulla. La bellezza lascia il posto al vuoto. Ogni città ha il suo colore. Quello della vecchia Aleppo è un giallo intenso, quasi dorato. Il poi, è un grigio striato dal nero degli anfratti, dai buchi degli ordigni, molti dei quali, inesplosi, sono ancora tra le macerie. 

«La ricostruzione non è facile – prosegue fra Ibrahim –. Tutti i giorni arrivano in parrocchia famiglie che non ce la fanno ad andare avanti. Nella guerra hanno perso tutto: genitori, figli, amici, parenti, casa, lavoro. Fino a poco tempo fa le serrande dei negozi erano abbassate. Ora vediamo qualche timido, importante segnale di ripresa. Nel nostro quartiere sono stati aperti una pasticceria, un negozio di ferramenta, un piccolo bazar di abbigliamento e una rivendita di arachidi. È poco, ma per noi è moltissimo. Da circa un anno, tra i vari progetti, stiamo finanziando la ripresa anche di queste piccole attività. Sono oltre 400 le richieste finora arrivate».

La parrocchia di San Francesco dedica particolare attenzione a bambini, ragazzi, anziani e alle giovani famiglie

La nuova Aleppo non è solo morte, dolore, smarrimento. È anche luogo di piccoli e grandi, impensabili miracoli. Come quello degli 860 tra bambini e ragazzi che quest’estate, per la terza volta (all’inizio erano una cinquantina), hanno attraversato tutti i giorni la città per ritrovarsi nel cortile della chiesa e partecipare al Grest. O quello che, a suon di bidoni di colore e pennelli, ha portato a dipingere i marciapiedi e a rifare la segnaletica stradale per «Aleppo più bella», iniziativa sostenuta dai frati con le autorità locali.

Dentro l’inferno, altri miracoli. Il 25 ottobre 2015 una bombola di gas, lanciata dai jihadisti durante l’affollata messa vespertina della domenica, colpisce la cupola, danneggiandola, ma non esplode. O ancora: la piccola aula realizzata per gli studenti universitari. A casa non hanno elettricità, non possono studiare. In questo spazio, finalmente, hanno la possibilità di stare sui libri e preparare gli esami.

Natale tra sogni e speranze
Dicembre è un mese che vede stringersi insieme, più che in altri periodi, la comunità. Quest’anno è il primo anniversario dalla liberazione, avvenuta il 22 dicembre 2016. Quel giorno un messaggio di fra Ibrahim raggiunge amici e benefattori in Europa.

«Dopo lunghe trattative tra esercito e milizie armate, i gruppi militari hanno consegnato le armi e lasciato la parte est della città. L’esercito ha annunciato di considerare Aleppo “città sicura”».

Subito le moschee chiamano i fedeli a festeggiare. Le chiese, quelle che ancora hanno il campanile, suonano a lungo le campane. «Un sogno si è realizzato…», esulta fra Ibrahim. Parole piene di speranza: a pochi giorni dal Natale, la liberazione della parte est della città «è il regalo più bello». Un regalo che si rinnova, anche in questo Natale, con celebrazioni e momenti di condivisione.

Ora il sogno di fra Ibrahim è che Aleppo ritorni a essere bella. Il cortile di una chiesa per giocare. Un’aula per poter studiare. Ingegneri e muratori chiamati a mettere in sicurezza le case. I marciapiedi dipinti. Il «grazie» di un bambino al papà che gli ha portato a casa un pezzo di formaggio. Il sorriso di George mentre vende un cacciavite nel suo negozio di ferramenta. E quel filo di luce, impercettibile ma vivido, nel cuore della notte, grazie al quale la mamma di Khalil può stirare la maglietta del figlio.

La bellezza di Aleppo è già qui.

L’articolo completo è disponibile nel numero di dicembre 2018 della rivista e nella versione digitale.

Data di aggiornamento: 21 Dicembre 2017
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