48sima Settimana sociale dei cattolici italiani: le conclusioni

Il discorso conclusivo di monsignor Filippo Santoro, presidente del Comitato preparatore e i saluti del cardinale Gualtiero Bassetti.
29 Ottobre 2017 | di

Al termine della mattinata, il saluto e il discorso conclusivo di monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato preparatore di questa Settimana sociale.

Sinodalità. «In questa Settimana Sociale – ha esordito monsignor Santoro – abbiamo fatto davvero esperienza di lavoro comune: dalla preghiera, alla meditazione sapienziale sul valore del lavoro nella Bibbia, dall’ascolto dei drammi e delle criticità nel mondo del lavoro alle buone pratiche, dal dialogo critico tra di noi e con le istituzioni, alle proposte per il parlamento e il governo dell’Italia e dell’Europa. Abbiamo fatto un lavoro sinodale che è cominciato ben prima di queste giornate. Le delegate e i delegati laici, i vescovi, i religiosi e le religiose sono stati i protagonisti di questi giorni».

«L’aspetto centrale del nostro convenire è stato il senso del lavoro – ha proseguito Santoro – che si identifica con il lavoro degno. Nel suo messaggio il Santo Padre ci ha detto. “La dignità del lavoro è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla”. Sono stati sempre presenti dinanzi ai nostri occhi i volti delle persone, di chi non ha lavoro, di chi non lo ha più, di chi rischia di perderlo, di chi ha un lavoro precario o non degno perché incapace di sostenere il costo della vita e della famiglia». Monsignor Santoro ha poi ricordato la testimonianza data nei giorni scorsi all’assemblea da Stefano Arcuri, marito della bracciante Paola Clemente, morta mentre lavorava nei campi e ha invitato i partecipanti a un momento di preghiera in memoria di tutte le vittime di un lavoro ingiusto.

«In questi giorni – ha insistito il presidente del Comitato – è riecheggiata costantemente la Dottrina Sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum alla Laudato Si’, che ha messo in risalto esplicitamente nella Laborem Excercens “il fatto che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale di tutta la questione sociale”. Il lavoro infatti risponde al bisogno della persona, alle sue esigenze fondamentali che sono di pane, di realizzazione, di significato, di giustizia, di felicità, di infinito». Bisogna lavorare ma senza dimenticare il giusto riposo, ha ricordato ancora Santoro, perché il lavoro non si deve trasformare in un idolo. Solo con il lavoro fatto con un senso, e quindi ben fatto, si costruisce la persona, la famiglia, la società portando avanti l’opera creatrice di Dio.

In questi giorni, ha posto in evidenza l'arcivescovo di Taranto, abbiamo analizzato le più evidenti criticità, in primo luogo quella che riguarda il rapporto giovani-lavoro e quindi la distanza tra sistema educativo e mondo del lavoro e poi anche «il lavoro delle donne, il lavoro e la cura della casa comune, il lavoro malsano, pericoloso…».

«Problemi che comportano una “conversione culturale” legata alla riscoperta del senso del lavoro come lo ha vissuto nelle sue forme migliori il cattolicesimo democratico e popolare in dialogo con le altre visioni della vita presenti nel Paese». Come ciò può accadere? Innanzitutto «mediante la valorizzazione dei legami sociali e spirituali in un nuovo rapporto tra imprenditore e lavoratore quando, come ha detto papa Francesco a Genova lo scorso maggio, “l’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore” e quindi riscoprendo un nuovo ruolo decisivo dell’impresa».

Nel corso di queste giornate, ha ricordato Santoro, si è parlato anche di «buone pratiche» sparse per tutta l’Italia, una prospettiva che «genera una presenza originale, fonte di nuove forme di vita per la persona, la famiglia e la società. Genera creatività per mezzo di imprese virtuose che non hanno come fine ultimo il puro profitto economico fine a se stesso, ma semmai fonte positiva di ricchezza condivisa e inclusiva per tutti, in particolare gli scartati».

«Ci ha detto Mauro Magatti – ha sottolineato ancora Santoro – che “per il nostro Paese, cogliere le opportunità di questa nuova fase storica è una meta impegnativa ma ineludibile. Una via stretta che comincia con il mettere in agenda tre tematiche”. Si discute tanto di formazione e competenze. Ma su una cosa almeno possiamo essere d’accordo: occorre superare le false dicotomie che separano invece di tener insieme. La persona intera è fatta di più dimensioni (cognitiva, emotiva, manuale, sociale) che vanno stimolate e curate, avendo cura di attivare sia il sapere teorico che quello pratico. In una prospettiva di sviluppo sostenibile,  l’inclusione è un principio economico. Secondariamente, rimettere al centro il lavoro significa creare un ambiente favorevole a chi lo crea e a chi lo esercita. Un obiettivo che in Italia appare ancora molto lontano. Infine, solo il lavoro che riconosce la dignità del lavoratore e lo ingaggia nella produzione di un valore non solo economico rende sostenibile la competitività e permette di fronteggiare la sfida della digitalizzazione. Per questo oggi, per fare la quantità di lavoro occorre puntare sulla sua qualità: passare da un’economia della sussistenza - come fabbricazione e sfruttamento - a un’economia dell’esistenza - produttrice, cioè, di saper-vivere e di saper-fare, che è la via per salvare e insieme Umanizzare il lavoro».

«La proposta della 48esima edizione delle Settimane sociali dei Cattolici italiani è che proprio la nuova centralità del lavoro segni la via che dobbiamo percorrere – ha concluso monsignor Santoro – diventando il cardine di una  inedita alleanza intergenerazionale capace di salvare i nostri figli dalla stagnazione e gli anziani da una progressiva perdita di protezione. Abbiamo arato il terreno, abbiamo individuato semi di vita che hanno bisogno di essere sviluppati per germogliare e dar frutto ed essere “lievito sociale”. Aratura, semina e coltura che hanno bisogno di un popolo che raccoglie la sfida della realtà e promuove la formazione di uno strumento di coordinamento che possa incidere sulla politica nella prospettiva di una conversione culturale e di una rinnovata presenza dei cattolici  nella società, come ci è indicato dai ripetuti interventi del Santo Padre e del Presidente della Cei. Che la passione manifestata durante questi giorni possa continuare con la forza dello Spirito e per il cuore di ciascuno di noi, commosso dinanzi ai profondi bisogni dei nostri fratelli e all’infinito amore del Signore».

Al termine del discorso di monsignor Santoro, ha preso la parola il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, che ha fatto un forte appello all'importanza del riposo.

"Al termine di queste giornate - ha detto il cardinale - vorrei lasciarvi con tre parole: grazie, amen e alleluia. Un grazie al comitato scientifico perché queste giornate intense e impegnative sono arrivate a conclusione di un grande cammino preparatore. Grazie a monsignor Santoro, apostolo di questa settimana sociale. Un grazie all’amata terra sarda e ai volontari, il cui lavoro, come diceva il cardinale Martini è pura espressione di amore gratuito. Non da ultimo un grazie ai giornalisti e agli operatori dell’informazione".

"Ripartiamo da Cagliari - ha ricordato il presidente della Cei - con delle iniziative concrete. Con un impegno da portare avanti nel quotidiano. E vorrei proprio in questo ambito ricordare l’importanza del riposo: perché senza la domenica non possiamo vivere. I credenti, senza l’eucaristia domenicale non hanno le forze  per potere agire e impegnarsi da cristiani in questa nostra società secolarizzata. E della domenica hanno bisogno le famiglie  per riscoprire l’incontro e ne ha bisogno la qualità della relazione. Del lavoro che vogliamo la domenica è parte costitutiva: se manca la domenica il lavoro non riesce a essere tale"".

"Amen, è la seconda parola che voglio ricordare - ha sottolineato ancora il cardinale Bassetti -. La prima parola della Bibbia è 'in principio': Dio Padre che crea, che opera, che costruisce un mondo, che fabbrica il mondo. La Bibbia comincia con questo Dio operaio. E finisce con Amen Maranathà, che significa vieni Signore Gesù. E allora il nostro amen sia la luce di Gesù Cristo per tutti noi".

"Infine - ha concluso il cardinale - l'ultima parola: Alleluia. Il canto della vittoria, della Pasqua, dei risorti, il canto della gioia e della speranza. E da qui vogliamo uscire con questa gioia e questa speranza".

 

Data di aggiornamento: 02 Novembre 2017
Lascia un commento che verrà pubblicato